Iniziative in progress per il 50° che cade il 21
novembre 2021
di GABRIELLA IZZI BENEDETTI
Carlo d’Aloisio da Vasto (1892 – 1971),
personaggio di rilievo nel panorama artistico e culturale novecentesco, è
l’artista vastese del quale ricorrono cinquant’anni dalla scomparsa. Una
personalità poliedrica che, intuendo prestissimo la propria vocazione
artistica, l’ha seguita con determinazione, sicché già a 16 anni, avuto
conferma delle sue potenzialità, si è trasferito a Roma, divenuta la sua città
per la vita, senza però mai dimenticare il luogo d’origine, riproponendone
ininterrottamente le atmosfere, le “sembianze”, le cromie; divenute una sorta
di ritmo interiore a sollecitarlo, a scandirne l’ispirazione.
Gli artisti non sono sempre teneri fra loro e dunque
riconoscimenti indirizzati a Carlo d’Aloisio da parte di personaggi che hanno
segnato il percorso artistico del novecento, sono quanto mai indicativi. Ha scritto di lui Carlo Carrà: "un artista che è,
con i suoi mezzi, attuale e moderno con sensibilità e intelligenza”.
Aggiungendo: "Uomo
di battaglie spirituali, il D'Aloisio porta nella pittura l'ardore delle sue
passioni ed i suoi particolari convincimenti", Per quanto attiene alla
versatilità, ai molteplici interessi artistici, alla capacità di assorbire da
un tempo di forti esigenze di rinnovamento di formule pittoriche che tendono a
equilibrare, amalgamare, determinare un modo nuovo, in grado di assorbire più
che escludere e distruggere, mi pare possa essere interessante ciò che
scrive Renato Guttuso:“Chi volesse farsi un'idea della società artistica
e letteraria di una cinquantina d'anni or sono non dovrebbe trascurare di dare
un'occhiata all'Almanacco intitolato il Vero Giotto e dovuto all'iniziativa
appassionata di Carlo d'Aloisio da Vasto”. L’Almanacco degli Artisti. Il vero
Giotto, pubblicato dal 1930 al
1933 dà voce ad artisti come Roberto Melli, Mario Mafai, Fausto Pirandello e
tantissimi che sarebbe troppo lungo elencare.Si tratta di pubblicazioni che
divengono il punto di riferimento del movimento artistico romano e non solo,
luogo d’incontro, dialogo, confronto fra i maggiori artisti e critici
dell’epoca.
D’Aloisio
vive in un tempo di numerosi e innovativi linguaggi artistici. Correnti complesse e
complementari. E’ probabile che per l’artista vastese l’impulso più
consistente sia derivato dalla frequentazione con Felice Carena all’epoca tra i
pittori più quotati che aprì a Roma una scuola d’arte e propose una lettura
pittorica dal vero, fondendo tradizione e modernità e dando valore al
paesaggio. Il gruppo d’artisti giovani ed entusiasti che gravitarono in
quell’area confluirono in buona parte nella Scuola romana. Certamente il genere
di ricerca fu molto personale, la scuola romana definisce un’epoca dalle varie
anime, in quanto formata da un gruppo eterogeneo di artisti operanti a Roma tra
il ’20 e il ’40, e che venne chiamata anche Scuola di Via Cavour, mentre in
francese è ricordata come “jeune École de Rome”. L’obiettivo, la ricerca di un
incontro tra modernità e tradizione, il linguaggio post-cubista e l’arte
classica, non era molto dissimile. Si presentava questa realtà artistica in una
pluralità di variabili: tonalismo, chiarismo, realismo magico.
Formule che alla fine conducono alla fluidità dell’immagine, ad una pittura
improntata su di un naturalismo poetico, narrante, pastoso. Il termine "Realismo magico" fu la
definizione che diede nel 1925 il critico tedesco Franz Roh per indicare una pittura ricca di
dettagli realistici e tuttavia lontana, come relegata in una sfera
affabulatoria, grazie ad elementi surreali o paradossali che donano all’insieme
un che di vagamente misterioso, chimerico. C’è chi vede in questa tendenza
pittorica una forma di post-espressionismo, dove tutto sembra fermo come sotto
un incantesimo. Diverso ma non poi così tanto il tonalismo di tradizione veneta
che a differenza della pittura fiorentina basata sul disegno è invece legata al
colore, la cui stesura graduale, tono su tono, finisce per creare effetti di
leggerezza, velature che producono una fusione tra soggetti e ambiente; diviene
il collante fra volume e spazio. Gli effetti di luce determinati dalle
variazione del colore creano armonia fra tutte le componenti del dipinto. C’è
chi parla di pittura atmosferica. Non bisogna confondere il tonalismo (utilizzo di un tono
unico), con la pittura tonale che usa più toni rappresentati non solo
dalla principale emissione luminosa, ma anche dalle secondarie nonché dai
riverberi e dai riflessi, raggiungendo una polifonia di toni. Il Chiarismo a cui spesso viene abbinato il termine tonale indica già
l’affinità con la pittura tonale: una pittura dai toni chiari e luminosi, priva di
chiaroscuro, in cui al predominio dei valori volumetrici si preferisce la
variabilità stilistica, il gioco di luci. Le correnti a cui abbiamo fatto cenno sono molto interessanti in
un’epoca a cavallo tra otto e novecento, caratterizzata dal susseguirsi di movimenti e stili tra i quali emergono cubismo, espressionismo, surrealismo,
dadaismo, fauvismo, pittura metafisica, futurismo, e non solo. L’ Arte d’Avanguardia è tesa a superare i canoni culturali prestabiliti,
nell’idea di affermare nuovi principi in una
esigenza di rinnovamento, adeguandosi
ai vari contesti socioculturali. C’è poi un’altra corrente artistica sorta dopo la prima guerra
mondiale che si propone diversa ponendo come centrali la tradizione, il
classicismo, la figura, la componente volumetrica. Una pittura
realista che metterà in crisi le varie avanguardie. Opere contraddistinte da
forme plastiche e geometriche. Ma non prive di quella forza incantata che le
fece includere nella corrente del realismo magico. Ecco dunque che alla fine
molti collegamenti e affinità avvengono e i giovani artisti della Scuola romana, i chiaristi lombardi, i
seguaci del tonalismo non sembrano dissociarsi poi tanto da tutto questo
fermento di idee e proposte, anche se rimangono in un’area un po’ defilata,
nonostante la notorietà acquisita dalla Scuola romana; poiché se la sintonia nei riguardi della tendenza ad
andare oltre la realtà oggettiva per indagare in quella più intima, dando
spazio all’inconscio, all’istinto, l’idea di accantonare la prospettiva,
appartiene a buona parte della nuova realtà, la scelta di spaziature, tonalità, atmosfere hanno un
timbro, un ritmo poetico, scansioni, morbidezze che non si riscontrano così
decisive altrove. Mi sembra interessante anche il voler esplorare le tante possibilità
espressive dei colori. Dunque il d’Aloisio vive e opera in un tempo ricchissimo di stimoli. Ed egli assorbe
molto dal suo tempo e non solo in termini pittorici.
*****
I primi passi d’artista Carlo d’Aloisio li fa come xilografo,
collabora a vari periodici tra i quali La Rivista d’Oggi, L’Attualità, Il
Romanzo dei Piccoli e successivamente l’Emporium, Satana
Bebba, Corriere dei Piccoli. Diviene illustratore di
copertine di libri per editori quali Carabba, Mondadori, Trevisani, Maffei e
Berlutti. Per Berlucchi ad esempio illustra la Vita di F. Baracca di
Mascardi e i Discorsi del giorno, così come Epopea della
Grande guerra, diario degli avvenimenti 1914-18 dell’Ammiraglio
Vittorio Moreno. Ma è soprattutto la ricchezza della produzione pittorica che
emerge e gli dà modo di esibirsi in numerose personali e collettive, non solo
in Italia. Lo troviamo presso le Biennali di Venezia e le Quadriennali di Roma,
oltre che in personali realizzate in città italiane ed estere come Parigi,
Losanna, Los Angeles, Varsavia.
Nel 1927 sposa Elisabetta Mayo, pregevole scultrice, allieva del notissimo Vincenzo Gemito.
Una unione di spiriti affini che sarà molto importante e produttiva per
entrambi. Nel 1929 la Mostra realizzata dal d’Aloisio presso le sale delle
"Tre Venezie" in Roma, verrà visitata da Vittorio Emanuele III e
consorte, ammirati dalle sue opere; ne acquistano infatti tre. E’ un vero
successo. Tra i giornalisti che seguono l’evento ce n’è uno vastese, Francesco
Anelli che ne Il Vastese d’Oltre Oceano non riesce a
trattenere l’orgoglio, rimarcando la provenienzadell’artista: “E’ l’Abruzzo
che trionfa in questi quadri. Ma sì, è più che l’Abruzzo! E’ Vasto! Vasto nella
torre di Santa Maria …col prolungamento del Monastero di santa Chiara; è la
processione che rientra da San Pietro… è il mare, i colli sovrastanti, è la
campagna nostra …”. Il d’Aloisio continua, non diversamente dagli
esordi, la ricerca del suo vero se stesso. Si potrebbe pensare, guardando i
dipinti che sia un poeta prestato alla pittura, anche se altre soluzioni ce lo
rendono con caratteristiche differenti; su tutto sicuramente domina la passione
con la quale si muove e agisce, e un fondo dinamico mai pago, sempre alla
ricerca di mutamenti e approfondimenti, di variazioni. E’ come se in lui
agissero due stati d’animo, o due anime, non in contrasto ma indipendenti: la
dimensione mnesica, il ritmo quieto e gli spazi, le tonalità della provincia, e
la foga del fare, del costruire, dell’emergere. Da un lato la vita che
trascina, il Museo da comporre e organizzare, le nuove correnti di cui
discutere, le partecipazioni a Mostre, tutto il bagaglio della vitalità,
irrinunciabile, dall’altro l’abbandono, la dolcezza, la memoria, la pennellata
pastosa, la distensione. Nel libro Discanto di Pasquale
Scarpitti è riportata una lettera dell’artista dalla quale traiamo questa frase
molto indicativa: “La mia terra d’Abruzzo, se pur lontana da me da lustri,
mi è rimasta teneramente e dolcemente nel cuore come una “sposa” vergine,
intoccata e intoccabile”. [1]
Interessante è anche ciò che scrive nel 1916
sull’Emporium: “Senza dubbio la vera forza dell’Italia nuova risiede
nelle sue provincie; tutti i germi di vita e di potenza, di bellezza e di
valore che le grandi città maturano e dissolvono nascono tutti dal seno delle
città minori. Ogni pietra vi nasconde una sorgente di ricchezza, ogni silenzio
vi genera un’idea … La piccola città di Vasto (oggi compresa nella zona di
guerra) ne ha offerto recentemente un esempio che si può chiamare
mirabile. Alta e severa nella bellezza tetra del suo castello, delle sue torri,
del suo Palazzo che rammenta la sontuosità guerriera dei d’Avalos e dei
Colonna; circondata da ogni parte dalla verdezza degli ulivi, dinanzi al
bell’azzurro dell’Adriatico solcato di vele rosse e gialle …”.
Crescendo la fama crescono onori e oneri. Nel
‘30 gli viene dato l'incarico di realizzare ed allestire la Sezione Moderna del
"Museo di Roma", di cui diverrà in seguito direttore e conservatore.
Avrà inoltre la direzione del Palazzo delle Esposizioni e della "Galleria
Comunale d'Arte Moderna" che da via dei Cerchi riuscirà in seguito a far
trasferire in Palazzo Braschi. Il Comune di Roma acconsentirà nel 1950 e il
d’Aloisio metterà ogni impegno per il restauro e l’organizzazione del Museo.
Questa sua densa attività non lo allontana dalla pittura. Tra le iniziative più
interessanti c’è, come già detto, la creazione della rivista “Almanacco degli
Artisti. Il Vero Giotto” pubblicato dal 1930 al ’33 e che divenne
punto di riferimento per tanti artisti di valore. Il loro contributo fa notare
come vi siano presenti movimenti e tempi dell’arte nazionale e internazionale:
cronache regionali ed estere (Francia, Spagna, America). Lo spazio dato alle
varie correnti artistiche porta firme importanti, Paladini, Dottori,
Marchi, Pirandello, Melli, Trifoglio. Si parla di architettura, i temi sono
plurimi, si dà spazio all’ironia, alla satira, le cronache danno il polso degli
umori del tempo.
In sostanza Carlo d’Aloisio è un personaggio che
si presenta con una poliedricità di interessi e ispirazioni che lascia
ammirati: affronta con abilità più pratiche pittoriche, fra cui l’acquerello; i
suoi interessi spaziano dalla letteratura alla pittura, alla grafica, alla
critica, all'organizzazione dei grandi eventi. E’ un cartellonista apprezzato.
Presso la Pinacoteca comunale di Vasto sono conservate alcune sue grafiche di particolare
bellezza. Vorremmo che la notorietà di questo artista rinverdisse, acquistando
lo spessore che merita nel panorama non solo italiano. A conclusione
riporto alcuni suoi pensieri che trovo suggestivi:
“Recentemente ho voluto rivedere i luoghi
della mia fanciullezza, della mia adolescenza, della mia giovinezza. E vi sono
andato per un colloquio intimo d’amore, arrivando in piena notte di plenilunio.
E – solo – vi sono rimasto fino all’alba. Cari posti miei in riva
all’Adriatico: Casarza, il Trave, Vignola, Punta Penna, Vasto! Poi ho preso
commiato con le lacrime agli occhi”.
“Io ho amato la mia terra d’Abruzzo come un
figlio ama la propria Madre. E questi amori tenuti gelosamente nascosti e
racchiusi nel cuore, vengono maggiormente goduti in una solitudine, in un
godimento spirituale della natura e dei suoi colori”.
Gabriella Izzi Benedetti
[1]P. Scarpitti, Discanto,
ed. Sarus, Teramo, 1972.