giovedì 1 aprile 2021

Il dramma della Passione di Cristo tra esordi del Cristianesimo e Rinascimento. Il ruolo dell’Abruzzo.

di Gabriella Izzi Benedetti 

Le testimonianze di drammi sulla Passione di Cristo nei primi secoli del cristianesimo sono scarse; era privilegiata l’idea della Resurrezione alla quale anche la predicazione degli Apostoli e di san Paolo attribuiva maggior significato,quale mistero della incarnazione divina e messaggio di redenzione e speranza. Anche a livello iconografico (oltre che letterario) viene proposta l’immagine di Cristo Pantocrate, Cristo Re,  in tutto il suo splendore, in grado di agire nell’immaginario dei fedeli più saldamente, a differenza dell’Uomo – Dio crocifisso e torturato; dunque in forma più trionfale che oggettivata sulla sofferenza in senso umano. 

Forse non era maturo il popolo dei fedeli ad adorare un’immagine di sofferenza e sconfitta, benché

apparente. Del resto la comunità cristiana proseguiva nell’ottica pagana che per secoli aveva proposto immagini di Dei vincenti. Bisognava che la sensibilità evolvesse e maturasse. La Chiesa per lungo tempo ha favorito temi di allegrezza,  e per questo il Natale da subito ha avuto una grande fortuna narrativa. Inoltre l’atteggiamento della Chiesa è stato anche di sovrapposizione e conversione di feste pagane in cristiane. La Pasqua trasformava  una festa pagana, folkloristica sul rinnovamento del ciclo annuale ( morte e rinascita), in evento cristiano, sostituendosi alle feste per la fertilità,  così come il Natale pose definitivamente fine ai riti propiziatori di fine anno.

Tutto sommato, essendo la Santa Messa la prima forma di dramma sacro, ad essa si legavala drammaticità, quale forma più immediata e naturale di memoria passionisnel momento della elevazione.Era sufficiente. Anche gli Encomi, una serie di Inni del rituale greco-bizantino collegati ad azioni liturgiche a carattere drammatico, propongono una Passione vissuta in forma gloriosa; lo stesso avveniva nella liturgia del Mattutino cantato la sera del Venerdì santo; nelle cosiddette Omelie Eusebianela scena drammatica è volta ad approfondire la liberazione dei Profeti, il trionfo sul demonio. In quest’ottica dal VII secolo prese il via l’Exultet, tuttora in uso, un inno glorioso. Un tempo gli Exultet erano inseriti in lunghe pergamene che prendevano il nome dalla parola iniziale del preconio pasquale; il solenne Lucernarium proprio della notte di Pasqua. 

Alcuni teologi dei primi secoli tendevano a separare l’idea del Cristo della Croce dal Cristo della gloria, anche se liturgicamente i due momenti erano strettamente connessi e questo grazie soprattutto a papa Alessandro I che nel II secolo volle dare spazio alla lettura della Passione di Cristo la Domenica delle Palme e nei giorni di martedì, giovedì e venerdì santo. A queste letture il popolo partecipava e il racconto evangelico era esposto drammaticamente con la lettura affidata a più persone. Da queste primitive forme derivano i Passio, i Planctuso Compassio. La lettura era accompagnata da un rituale di gesti e atti, si usavano anche fogge adatte al personaggio; al momento della morte di Gesù si spegnevano i lumi; era detto l’Ufficio delle tenebre.Ciò che oggi è un’omelia, cioè la predica dopo la lettura del Vangelo, nel Medioevo, durante i riti fondamentali come la Pasqua, si trasformavano spesso in momenti in cui l’alternarsi delle parole del celebrante con quelle dei diaconi, ricostruzioni visive deli eventi, creavano dinamismo. E anche la Processione, che è giunta fino ai nostri giorni, si attestava qualeespressione drammatica, si dotava di moduli figurativi spesso affidati a fedeli, di pause di tragitto con narrazioni e dialoghi. Tra i rituali, ricchi di elementi teatralisi attestailQuemquaeritis; un dialogo che si svolge davanti al Sepolcro vuoto e chesi pensa essere alla base dell’evoluzione in forma drammatica della Passione. In esso tre frati vestiti da Marie si alternano nel canto, c’è poi l’angelo seduto con abiti sfolgoranti accanto al Sepolcro con un ramo di palma nella mano sinistra e un candeliere nella destra; ci sono le figure degli Apostoli Pietro e Giovanni, altri angeli e un ortolano. L’ortolano alla fine si trasfigura in Cristo e avanza ricoperto di una dalmatica bianchissima. 

Queste cerimonie duravano ore e soprattutto i riti pasquali perduravano dalla sera all’alba ed erano appannaggio soprattutto dei monaci benedettini.Dal Monastero benedettino di Cassino proviene uno degli esempi più antichi,l’Officium Sepulchri. Di origine abruzzese. Inizialmente queste funzioni avvenivano in chiesa, e l’altare era il simbolo del Sepolcro. Un grande passo avanti fu nell’VIII secolo il dono di un nuovo strumento musicale che la Corte di Costantinopoli fece a Pipino il breve, re di Francia, l’organo. 

L’organo si diffuse rapidamente dovunque nelle chiese europee e alimentò la drammaticità dei momenti liturgici. In seguito queste funzioni si trasferirono all’aperto favorendo in tutta Europa lo svilupparsi fra il 1200 e il 1400 di drammi religiosi sontuosi e lunghissimi, tanto da svolgersi in 25 e perfino 40 giorni. Confluirono in questo lievitare di forme teatrali moduli della chiesa greco bizantina e di quella occidentale. Importantissimo fu un genere di drammatizzazione, la Laude, che fiorì prevalentemente in Umbria, pensiamo a Jacopone da Todi, suo massimo esponente.Fra’ Jacopone da Todi (conte Jacopo Benedetti) porta la lauda a dignità letteraria, identificandola con il dramma, servendosi del metro della ballata, creando figure autonome e reali. Il dialogo prevarrà nello svolgimento delle vicende tragiche della Passione. Le Laudi avranno una fortuna straordinaria in ogni parte d’Italia. Sicuramente in Abruzzo, che per l’innata rigorosità e perché rientrava nella circoscrizione ecclesiastica umbra, si dedicò molto a questo genere espressivo coinvolta in quello spirito di fede che diede inizio alle Compagnie dei Disciplinati, o anche dei Flagellanti che vivevano la religione in forme molto severe se non punitive. Un genere che si affermò soprattutto tra i Francescani e in Abruzzo esistono molti codici francescani nei quali è presente il genere laudistico.

Sulla ricchezza creativa abruzzese ci sarebbe molto da dire; ma dovendo per forza di cose operare una sintesi, mi limiterò a trattare di alcune documentazioni che indicano come la nostra regione ebbe un ruolo pilota in quella che è l’evoluzione da forme più essenziali a quelle più articolate. 

Nel Codice Vaticano latino 4770, presso la Biblioteca Apostolica Vaticana, una importante documentazione, già citata come proveniente dall’Abruzzo,che risale al X o XI secolo, riporta una cerimonia liturgica complessa che è in sostanza un UfficiumSepulchri. Si presenta come un tropo, e la metrica dimostra l’autonomia di Antifone e Responsori. L’indicazione della componente musicale è appena accennata; ma tutto l’insieme dimostra una maturità creativa notevole; anche nella forma si riscontra originalità rispetto a soluzioni precedenti. Ma il più importante dei documenti sulla Passione reperiti in Abruzzo si attesta fra quelli di maggior rilievo di tutta la drammaturgia sacra italiana: l’Officium quarti militis conservato a Sulmona, nell’Archivio capitolare di San Panfilo, e che fu scoperto dallo studioso Giovanni Pansa a fine ottocento. 

Si tratta di un rotolo originale dotato di didascalie che normalmente sono fatte per essere distribuite agli attori, per imparare la parte. E’ dunque un documento unico nel suo genere. Il termine Officium, poiché il titolo con ogni probabilità era Passione o Passione e Resurrezione, ha valore di “parte, ruolo”. Il ruolo del quarto soldato. E dunque veniamo a sapere che nel Medioevo dal copione teatrale si estraeva e distribuiva a ciascun attore la propria parte. Ci troviamo di fronte a un documento che ci offre ampia panoramica di un apparato scenico completo e c’è anche una nota che parla di musica. Prendono vita soldati, Pilato, Procula moglie di Pilato che ha fatto un sogno e che prega il marito di non crocifiggere Gesù.

 L’allestimento per alcuni studiosi doveva essere sontuoso, per altri meno. Ma di sicuro i due documenti il cassinese e il sulmonese sono stupende testimonianze. Un altro genere passionale assai caro alle consuetudini devozionali abruzzesi, fu il sermone semidrammatico. Abbiamo già accennato al fatto che i predicatori medievali in occasione di ritualità di maggior rilievo interrompevano l’omelia inserendovi animazioni, sonetti, canzoni. Il sermone semidrammatico parte da questo dato per creare un genere misto di narrazione e dialogo, scenicamente sviluppato, in cui venivano inseriti testi estrapolati da varie parti. Ad esempio un poemetto passionale scritto dal senese Nicolò di Nino Cicerchia e attribuito al Boccaccio o al Petrarca venne inserito frequentemente nei sermoni abruzzesi. Se ne conservano moltissimi nei Codici Capestrsanesi.

Col passare del tempo, col vivere all’aperto funzioni liturgiche arricchite teatralmente si giunge a quelle assai sfarzose e articolate, cioè alla Sacra Rappresentazione. In questo genere eccellono soprattutto Abruzzo e Toscana, con realizzazioni sorprendenti, che vanno oltre l’argomento della Passione, si confrontano con storie bibliche, vite di santi, la natività. Il fenomeno è presente in tutte le regioni italiane. Venivano create impalcature gigantesche e la loro strutturazione spesso prevedeva in insieme di finestre distribuite su vari piani a indicare tempi e luoghi diversi. Quindi i personaggi apparivano e sparivano con un effetto che sa di cinematografico ante litteram. In modo particolare la città dell’Aquila si distinse in questo genere teatrale. E avveniva che le storie narrate s’infittissero di situazioni anche fantasiose. Anche in questo senso la drammaturgia medievale sembra precorrere i tempi; avevano creatouna specie di soap opera, o serial. E questo preoccupò la Chiesa in quanto per allungare i tempi le storie si dotavano di leggende, situazioni fantasiose, non sempre in linea col soggetto. In ogni caso si tratta di una fioritura incredibile, soprattutto se si pensa che nel medioevo è il dramma sacro l’unica o quasi espressione teatrale. La fioritura drammatica dei secoli prima del Rinascimento esclude quasi del tutto temi e autori pagani, Eschilo o Terenzio, tanto per fare dei nomi. Non esiste teatro d’impegno o di valore linguistico, in senso laico, sono personaggi come saltimbanchi, guitti o cantori a continuare nel rapporto fra popolo e teatro laico.

Nella seconda metà del XV secolo questo genere, la sacra Rappresentazione, lentamente perde interesse mentre riprendono vigore il dramma classico e poi la commedia dell’arte. E questo anche perché come abbiamo detto la Chiesa prese atteggiamenti più severi, timorosa di commistioni. La storia ha i suoi cicli; nel suo lungo cammino apre a chiude fasi e dunque nel Rinascimento si apre un nuovo capitolo dove dominano il poema cavalleresco, il romanzo pastorale, il dramma classico. Ma, se ben si osserva,  una vera scissione fra tutte le manifestazioni creative non c’è.Ciò che è stato risorge con mutazioni, esclusioni, arricchimenti; avvengono fusioni, oblii, ritorni. E così è avvenuto anche per la drammaturgia sacra. Del resto  il suo spirito di base non è mai venuto meno, se ci si riferisce alla Messa o ad alcune espressioni devozionali; e oggi il Dramma sacro è in grado di attrarre nuovamente attenzione. Personalmente sarei felice se in Abruzzo, magari a Vasto, si tentasse di mettere in scena unatestimonianzateatrale, ad esempiol’Officium quarti militis.

Gabriella Izzi Benedetti

 

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