L'ing. Antonio Izzi ( a 29 anni) |
La Prof.ssa Gabriella Izzi Benedetti, nostra concittadina residente a Firenze, ci invia questo articolo, in ricordo di suo padre, l'Ing. Antonio Izzi.
Trattasi di una visione
impressionistica, diremo meglio giornalistica, soffusa di rimpianti, di una figliuola
che ricorda il padre, quand'Ella era bambina.
Conoscemmo anche noi e
stimammo con rispetto riverenziale la figura dell'Ing. Antonio Izzi all'epoca
della nostra adolescenza. Erano tempi in cui i giovanissimi avevano ammirazione
per coloro che avevano combattuto, con onore, la prima guerra mondiale. Con
Raffaele Paolucci, medaglia d'oro, divenuto poi grande chirurgo internazionale,
con Giacomo Acerbo combattente, fratello del caduto medaglia d'oro, c'era anche
a Vasto l'Ing. Izzi, medaglia d'argento, comandante di un plotone della
compagnia arditi, distintosi nei combattimenti della Nervesa dal 15 al 18
Giugno 1918. Studenti all'inizio della ' 'Regificazione ' ' di quella scuola
ricordiamo l'Ing. Izzi, presidente dell'Istituto Tecnico Commerciale Nicola
Paolucci, incarico che consideravamo soffuso di un alone di capacità, per quel
tempo, ma anche di riconoscimento alle qualità di un cittadino che si era
distinto con onore in guerra ed in pace.
Per queste ragioni dobbiamo
ringraziare Gabriella Izzi per il pregevole scritto, in ricordo di suo padre,
(n.d.d.)
La semioscurità della cucina, lasciava intravedere una figura in movimento dietro lo smeriglio della porta accostata; Maria, in penombra lucidava le scarpe di mio padre. Scarpe nere: che, nel ricordo mi paiono enormi. "'Domani papa si alza perché arriva l’ingegnere che lo sostituisce" mi spiegò, con la schiena girata. Oltre alla libera professione, mio padre era ingegnere presso il Comune e in quel periodo dirigeva i lavori di ampliamento per l'acquedotto. Dacché si era ammalato un giovane collega veniva talvolta a consultarlo.
Sentii come una grossa pietra
rotolare via dallo stomaco. Se si alzava era guarito; corsi attraverso il
corridoio buio, attraverso l'ingresso; entrai nella stanza da pranzo illuminata
dal riflesso delle luci della strada; sembrava che nessuno si fosse ricordato
di accendere le luci quella sera; la piazza su cui si affacciava il balcone
lasciava intravedere un grosso pezzo di cielo blu, non ancora stellato; c'era
invece uno spicchio di luna e tutto questo vidi correndo in quel silenzio
strano, innaturale. Una nostra vicina mi bloccò e mi disse "Papà dorme e
non bisogna svegliarlo" "Domattina però si alza"
"Certo" "rispose" ma intanto tu e Giuliana dormirete nella
stanza con Maria Teresa e Anita per non disturbarlo".
La mattina seguente vennero a
svegliarci, e poi qualcuno mi prese per mano e lo vidi nel salotto grande,
disteso in quel letto stretto stretto tutto vestito di scuro. E c'era tanta
gente e sentivo piangere e bisbigliare e fu allora che, per la prima volta
nella memoria, l'immagine di mia madre appare nitida di contorni e
d'espressione. Fino ad allora la sua figura è come incastonata dentro
l'impalpabile fluire della vita con la sua quotidianità che nel continuo
ripetersi perde un preciso contorno e prende il colore dello stato d'animo;
minuzzoli di sensazioni. Rimane mia madre una presenza costante ed essenziale
come il vento che non vedi eppure senti o i profumi e, dentro un gioco di luci
e d'ombre, sono archiviati i suoi umori tristi o lieti.
Mi resta un particolare modo
di muover la testa o un gesto delle piani.
Poco d'altro. Forse perché
allora nella mia mente dominava la figura di mio padre, o forse perché in
futuro la sua presenza costante calata nella continuità del vivere con i suoi
passaggi e le sue modifiche hanno reso meno essenziale cristallizzarla nella
memoria più antica, chiuderla in una specie di scrigno perché tutto restasse
fermo.
Cosi, tra quel bisbiglio e
quell'odore ossessivo di fiori, vidi mia madre; sedeva silenziosa, ai piedi di
quel letto stretto, e sul suo vestito si erano creati due solchi, due rigagnoli
che scendevano dalle guance e attraversavano il petto: le lacrime in sovrappiù
rotolavano per essere assorbite più in basso e qualcuna bagnava già la gonna.
Il significato di tutto questo mi sfuggiva, ma ero presa da uno sgomento
sconosciuto e fu un sollievo quando la signora del piano di sotto mi prese per
mano e mi portò a casa sua. Seppi, e questo mi tranquillizzò molto, che mio padre
in Purgatorio non poteva essere perché
l'aveva vissuto in terra con tutto quel soffrire, e quindi era sicuramente in
Paradiso. Sapevo che il Paradiso è per chi muore e chi muore non torna ma la
mia irrazionalità infantile mi impediva di associare questa nozione astratta
alla mia personale vicenda. Questo doveva essere un altro Paradiso da cui si
andava e veniva, e mi affannavo a chiederle come si andava e si tornava da
esso; e però lei che aveva gli occhi rossi e continuava a soffiarsi il naso si
spazientì per la mia petulanza e mi gridò di smetterla, di non esser cattiva
altrimenti mio padre avrebbe pianto, ed io mi sentii in colpa e mi chiesi cosa
avessi mai fatto, ma sicuramente dovevo aver fatto qualcosa di male se la gente
non mi sorrideva più, addirittura mi sgridava. Coinvolta in quell'infinita tristezza
dubitai di averla provocata io e mi chiedevo inquieta se non era per caso per
qualche mia cattiveria che mio padre era andato via tanto lontano, addirittura
in Paradiso.
Da allora niente è stato come
prima; all'inizio fu più che altro una sensazione
allo stato percettivo, ma in seguito, accumulandosi gli anni, il "prima"
e il "dopo" sono sempre più venuti a configurarsi come due mondi a
parte, il “prima” dai contorni azzurrognoli, come un'isola dove tutto si muove
con la lenta placidità di un
acquario, dove tutto è
complementare di lutto il resto, sicché ogni cosa ha la sua giusta collocazione
in armonia con il contesto.
A parte preziose presenze che
formarono quadrato intorno a noi,
fu anche tempo di sciacalli piombati
ad approfittare del dolore e
della buona fede; fu tempo di
invidiosi che ti entravano in casa nella speranza che tutto fosse peggio di ciò
che era, e infine avveniva che molti in buona o in mala fede si arrogavano il
diritto di irrompere nel nostro privato per subissarci di consigli non
richiesti e fare valutazioni fuori luogo.
E in questo le due donne che
ci aiutavano in casa. Maria e Vittoria, divennero preziose vestali della nostra
sopravvivenza. Alte tutte e due con le gonne lunghe, ampie e scure delle donne
del popolo, il corpetto stretto, i capelli raccolti a crocchia, altere,
silenziose ed efficienti, arginavano, selezionavano, erano sempre pronte a
difenderci ed intervenire. Senza di loro non so come sarebbe stata la nostra
vita.
E comunque la forza morale di
mia madre ebbe ragione di tante
difficoltà e ci fu di
esempio. E soprattutto ci è stato sempre di stimolo e conforto la
consapevolezza di aver avuto un padre eccezionale; e non solamente in quanto
padre per la sua affettuosità ed il ridente equilibrio che sapeva generare in
noi, costantemente, ma per le sue specifiche peculiarità di uomo e
professionista.
Nei suoi pochi anni di vita
(43), mio padre, giovanissimo ha meritato una medaglia d'argento e una croce al
valore nella prima guerra mondiale. E, sulla sua esperienza di guerra ha
scritto un piccolo, interessante libro. Laureatosi in ingegneria a 23 anni, è
divenuto in breve uno dei professionisti più apprezzati, a cui venivano
affidati incarichi impegnativi. E la sua attività fu prestigiosa e non conobbe
sosta.
Con grande serietà e
disponibilità umana attese ad incarichi che esulavano dalla sua professione: fu
Presidente e direttore amministrativo dell'asilo d'infanzia delle Suore della
Croce, dell'Istituto Tecnico, dei Combattenti e furono tutte prestazioni
gratuite. Cosi come, coerentemente con il suo spirito cattolico non volle mai
compenso per progetti o ristrutturazione di chiese in Vasto e dintorni. Il suo
amore di Patria fu fortissimo, e cosi il rispetto per la dignità dell'individuo.
La sua etica lo portò a
rinunciare alla carica di Podestà offertagli.
Uno dei tanti esempi della
sua dirittura morale.
Mi riesce complicato e mi
mette a disagio tessere le lodi di mio padre, posso dire che continuamente ho
sentito lodarne l'intelligenza, l'onestà; so anche che tante volte nella vita
mi è capitato che solamente il dire di essere sua figlia è stata una garanzia
di valore, e il suo nome ha suscitato sempre ammirazione e rispetto. Ancora
oggi a distanza di tanti anni la sua figura viene ricordata da molti come
esempio di quei valori morali oggi spesso in discussione. Ripeto, mi è
difficile parlarne; per noi di famiglia era il calore, il sorriso; per molti
che con lui hanno lavorato, una personalità straordinaria e carismatica.
E non mi è facile stabilire
dove finisce in me il rimpianto per il padre perduto e dove inizia l'orgoglio
per il padre avuto.
Gabriella IZZI BENEDETTI
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