lunedì 18 gennaio 2021

L’EREDITA’ ARTISTICA DI VINCENZO CANCI

Ricordiamo la figura del pittore Vincenzo Canci (1911-2003) con due articoli di Gabriella Izzi Benedetti: il primo scritto nel 2003  in occasione della sua scomparsa; il secondo  antecedente, pubblicato in occasione di un'importante rassegna.

Da VastoDomani  Giugno 2003

L’EREDITA’ ARTISTICA DI VINCENZO CANCI

di  Gabriella Izzi Benedetti

 La vita di Vincenzo Canci, se fisicamente si è conclusa per la legge naturale che ci accomuna tutti, prosegue attraverso la sua opera, nelle realizzazioni pittoriche che offrono testimonianza della sua qualità di uomo e di artista. Egli continuerà a trasmetterci per il tempo a venire ciò che il suo personalissimo approccio con la realtà ha assorbito, filtrato, interiorizzato.

E' questo suo mondo che arricchirà il nostro.

Canci è stato uno straordinario cantore della sua terra, la cui eredità d'immagini fortemente suggestive diviene un diario visivo, realizzato attraverso una sapiente scansione dei tempi e degli spazi, all'interno del quale percepiamo la dinamica dell'esistere che questa terra contraddistingue; la riviviamo nelle distese campestri, nelle sequenze marine, negli scorci cittadini, nei paesaggi stagionali.

Un diario lungo quasi un secolo che racconta ciò che solo un artista sa cogliere, quell'impalpabile rivelatore dell'essenza delle cose.

E' stato un privilegio conoscerlo. Ciò per me è avvenuto tardi. Il salutarsi e l'avere cognizione delle reciproche esistenze non equivale conoscersi. Da qualche anno alcune attività culturali ci avevano avvicinati. Con mio marito sono stata talvolta a trovarlo. Ed era un piacere conversare con lui, che finiva per divenire memoria storica della città. I suoi ricordi, la sua orgogliosa dignità, il senso dell'appartenenza alla sua terra, tutto di lui aveva il sapore dell'autentico. Come autentica era la sua squisita signorilità. Noi cittadini gli dobbiamo gratitudine: grazie al suo talento, tela dopo tela rivive Vasto non solo nelle sue caratteristiche primarie, non solo indispensabile storicamente, nella sua evoluzione, ma viene quasi magicamente attualizzato quel momento emotivo intimo che ciascuno percepisce come proprio, e in quel percepire recupera elementi e sensazioni dimenticate.

E' questa la capacità di un vero artista, parlare un linguaggio universale, nel quale tutti infine si riconoscono.

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Da Vasto Domani Luglio 1995

Intervista a Vincenzo Canci

La magia del colore

 di GABRIELLA IZZI BENEDETTI

Visitare la rassegna antologica delle opere di Vincenzo Canci, significa addentrarsi in una sorta di suggestivo percorso, in un gioco poetico di rara rispondenza emozionale, dove, in prospettiche risolutive, ma mai limitate o limitanti, il figurativo si dissolve in formule di personalissima rivisitazione.

La ricerca pittorica che il Canci attua attraverso la levità degli acquerelli o la netta scansione degli olii a spatola sembra obbedire ad un ritmo interiore essenziale, poiché la natura, i paesaggi, le immagini di pescatori, gli scorci di una Vasto affondata nella memoria, propongono un itinerario artistico libero da compiacenze estetizzanti, in una dimensione di quasi totale estraneità da epigonismi di scuola.

Una pittura la sua che supera le solide basi tecniche per ramificarsi in trame compositive determinate soprattutto dalla luce e dal colore; c'è in esse un fondo di costante pensosità; anche dove l'esplosione cromatica è più viva, permane una sensazione di solitudine dolce, voluta, un distacco morbido, tradotto in grandi campiture, ariose all'interno di un rigore prospettico che esalta la fuga in profondità di una composizione paesaggistica sapientemen­te fusa nel degradare di verdi e azzurri e lillà, una gamma di pas­saggi di grande bellezza. Se alcune opere del Canci, non necessariamente presenti in que­sta rassegna, sembrano subire la lezione novecentistica, se la tecni­ca cubista si affaccia in qualche scansione di particolare incisività, il suo mondo pittorico sembra, però, proporsi in sintonia con la sensibilità impressionistica per adesione spontanea; un percorso parallelo, si potrebbe dire.

Ho conversato con Vincenzo Canci durante la mia visita alla Mostra; non è stato facile per il flusso di pubblico che desiderava complimentarsi con il Maestro, interrompendo ogni filo logico del discorso. Ma è stato comun­que un discorrere interessante, durante il quale il Canci ha riper­corso i momenti salienti della sua vita e della sua arte.

 Da cosa è stata determinata la sua scelta artistica?

 È nata con me, direi. Assorbivo le immagini, specie durante le estati al mare. Desideravo trasmetter­le. Vedere al lavoro due maestri stuccatori e decoratori aquilani, il Cavalieri e il Carnevale, chiamati a Vasto per abbellimenti alla chie­sa di S. Giuseppe, fu come un in­cantamento che fece esplodere questo desiderio.

 Ebbe ostacoli familiari in que­sto?

Assolutamente no. Mio padre non si meravigliò più di tanto, mi mandò a frequentare la Scuola di pittura decorativa de L’Aquìla. Da L’Aquila a Roma nello studio del famoso Umberto Calzolari. Stu­diai graffito e affresco. Il Calzolari era un uomo piuttosto schivo ad aiutare i giovani. Gli chiesi di se­guirmi per un anno, al termine del quale egli avrebbe deciso ne ero all'altezza di continuare o no; e i quei caso avrei optato per un diploma da geometra. Mi disse di continuare. Molto più tardi negli anni appresi dalla signora Calzolari che al marito piaceva il mio stile ed il mio talento. A me non mi diede mai intendere neppure . sprazzi.

Ci sono sfati episodi determinanti nella sua vita?

Il periodo che va dalla guerra d'Africa alla fine della 2^ guerra mondiale. Fui preso prigioniero dai Tedeschi e, non volendo collaborare, fui mandato a lavorare in miniera. Un periodo duro, lontano dagli affetti e soprattutto dalla possibilità di dipingere; praticamente tra il 1937 e il 1945 mi sono giocato gli anni migliori.

 Cosa ne ha ricavato dal punto di vista umano?

Una maggiore attenzione ai problemi degli umili, una partecipazione sociale, non di facciata o di politica, ma come sorgente di solidarietà umana. Infine la nostalgia mi ha reso particolarmente cara la mia terra.

 Quale è stata un'esperienza positiva, stimolante ?

Per alcuni anni ho collaborato come scenografo a Cinecittà, per importanti films. Ho conosciuto gente interessante, attori, intellettuali: indubbiamente è stato un momento di crescita. Già a Vasto, nel '36 avevo allestito le scene per i "Campanaro eroico" dramma in tre atti; lavoro che ebbe larghi consensi. Proprio suo padre, ingegnere  Izzi che allora era Presidente dei Combattenti mi ringraziò con una bella lettera di elogi che, conservo ancora. Si trattava a uno spettacolo di beneficenza di cui nessuno di noi trasse vantaggi economici.

Altre sue attività?

L'insegnamento prima a Milano poi a Vasto. Ora mi dedico solamente alla pittura, privilegiando l'acquerello. L'acquerello rende meglio la morbidezza delle masse cromatiche, la scomposizione della luce.

In quali valori crede maggiormente?

Sincerità e rettitudine a mio avvisi sono alla base di tutto.

 Le sue tele sono per quattro quinti panoramiche vastesi. 

Vasto è bellissima, offre scorci incredibili. La rivivo nella memoria nei più piccoli dettagli. Non trovo altrove le stesse vibrazioni.

In realtà Canci non ha niente del campanilista acceso, è un uomo dalla mentalità aperta e, direi, cosmopolita, ma nondimeno è un artista che dalla sua terra trae gli umori l'ispirazione più intensa che di essa ha assorbito il linguaggio impalpabile, aereo, marino, campestre, tradotto in spazilità, corpose o rarefatte, coinvolgenti. E a me, vastese, la sua pittura ripropone un mondo che mi è appartenuto e mi appartiene crea uno struggimento che sa di case e di vie, di mare, di cieli, di vita rurale; sinfonia che ci portiamo nell'animo e che resta la base del nostro personale itinerario interiore.

GABRIELLA IZZI BENEDETTI

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