Ricordiamo la figura del pittore Vincenzo Canci (1911-2003) con due articoli di Gabriella Izzi Benedetti: il primo scritto nel 2003 in occasione della sua scomparsa; il secondo antecedente, pubblicato in occasione di un'importante rassegna.
Da
VastoDomani Giugno 2003
L’EREDITA’
ARTISTICA DI VINCENZO CANCI
di
Gabriella Izzi Benedetti
E'
questo suo mondo che arricchirà il nostro.
Canci
è stato uno straordinario cantore della sua terra, la cui eredità d'immagini
fortemente suggestive diviene un diario visivo, realizzato attraverso una
sapiente scansione dei tempi e degli spazi, all'interno del quale percepiamo la
dinamica dell'esistere che questa terra contraddistingue; la riviviamo nelle
distese campestri, nelle sequenze marine, negli scorci cittadini, nei paesaggi
stagionali.
Un
diario lungo quasi un secolo che racconta ciò che solo un artista sa cogliere,
quell'impalpabile rivelatore dell'essenza delle cose.
E'
stato un privilegio conoscerlo. Ciò per me è avvenuto tardi. Il salutarsi e
l'avere cognizione delle reciproche esistenze non equivale conoscersi. Da
qualche anno alcune attività culturali ci avevano avvicinati. Con mio marito
sono stata talvolta a trovarlo. Ed era un piacere conversare con lui, che
finiva per divenire memoria storica della città. I suoi ricordi, la sua
orgogliosa dignità, il senso dell'appartenenza alla sua terra, tutto di lui
aveva il sapore dell'autentico. Come autentica era la sua squisita signorilità.
Noi cittadini gli dobbiamo gratitudine: grazie al suo talento, tela dopo tela
rivive Vasto non solo nelle sue caratteristiche primarie, non solo
indispensabile storicamente, nella sua evoluzione, ma viene quasi magicamente
attualizzato quel momento emotivo intimo che ciascuno percepisce come proprio,
e in quel percepire recupera elementi e sensazioni dimenticate.
E'
questa la capacità di un vero artista, parlare un linguaggio universale, nel
quale tutti infine si riconoscono.
Da Vasto Domani Luglio 1995
Intervista
a Vincenzo Canci
La magia del colore
di GABRIELLA IZZI BENEDETTI
Visitare
la rassegna antologica delle opere di Vincenzo Canci, significa addentrarsi in
una sorta di suggestivo percorso, in un gioco poetico di rara rispondenza
emozionale, dove, in prospettiche risolutive, ma mai limitate o limitanti, il
figurativo si dissolve in formule di personalissima rivisitazione.
La
ricerca pittorica che il Canci attua attraverso la levità degli acquerelli o la
netta scansione degli olii a spatola sembra obbedire ad un ritmo interiore
essenziale, poiché la natura, i paesaggi, le immagini di pescatori, gli scorci
di una Vasto affondata nella memoria, propongono un itinerario artistico libero
da compiacenze estetizzanti, in una dimensione di quasi totale estraneità da epigonismi
di scuola.
Una
pittura la sua che supera le solide basi tecniche per ramificarsi in trame
compositive determinate soprattutto dalla luce e dal colore; c'è in esse un
fondo di costante pensosità; anche dove l'esplosione cromatica è più viva,
permane una sensazione di solitudine dolce, voluta, un distacco morbido,
tradotto in grandi campiture, ariose all'interno di un rigore prospettico che
esalta la fuga in profondità di una composizione paesaggistica sapientemente
fusa nel degradare di verdi e azzurri e lillà, una gamma di passaggi di grande
bellezza. Se alcune opere del Canci, non necessariamente presenti in questa
rassegna, sembrano subire la lezione novecentistica, se la tecnica cubista si
affaccia in qualche scansione di particolare incisività, il suo mondo pittorico
sembra, però, proporsi in sintonia con la sensibilità impressionistica per
adesione spontanea; un percorso parallelo, si potrebbe dire.
È nata con me, direi. Assorbivo le immagini,
specie durante le estati al mare. Desideravo trasmetterle. Vedere al lavoro
due maestri stuccatori e decoratori aquilani, il Cavalieri e il Carnevale,
chiamati a Vasto per abbellimenti alla chiesa di S. Giuseppe, fu come un incantamento
che fece esplodere questo desiderio.
Assolutamente
no. Mio padre non si meravigliò più di tanto, mi mandò a frequentare la Scuola
di pittura decorativa de L’Aquìla. Da L’Aquila a Roma nello studio del famoso
Umberto Calzolari. Studiai graffito e affresco. Il Calzolari era un uomo
piuttosto schivo ad aiutare i giovani. Gli chiesi di seguirmi per un anno, al
termine del quale egli avrebbe deciso ne ero all'altezza di continuare o no; e
i quei caso avrei optato per un diploma da geometra. Mi disse di continuare.
Molto più tardi negli anni appresi dalla signora Calzolari che al marito
piaceva il mio stile ed il mio talento. A me non mi diede mai intendere neppure
. sprazzi.
Ci sono sfati episodi determinanti nella sua vita?
Il
periodo che va dalla guerra d'Africa alla fine della 2^ guerra mondiale. Fui
preso prigioniero dai Tedeschi e, non volendo collaborare, fui mandato a
lavorare in miniera. Un periodo duro, lontano dagli affetti e soprattutto dalla
possibilità di dipingere; praticamente tra il 1937 e il 1945 mi sono giocato
gli anni migliori.
Una
maggiore attenzione ai problemi degli umili, una partecipazione sociale, non di
facciata o di politica, ma come sorgente di solidarietà umana. Infine la nostalgia
mi ha reso particolarmente cara la mia terra.
Per
alcuni anni ho collaborato come scenografo a Cinecittà, per importanti films.
Ho conosciuto gente interessante, attori, intellettuali: indubbiamente è stato
un momento di crescita. Già a Vasto, nel '36 avevo allestito le scene per i
"Campanaro eroico" dramma in tre atti; lavoro che ebbe larghi consensi.
Proprio suo padre, ingegnere Izzi che
allora era Presidente dei Combattenti mi ringraziò con una bella lettera di
elogi che, conservo ancora. Si trattava a uno spettacolo di beneficenza di cui
nessuno di noi trasse vantaggi economici.
Altre sue attività?
L'insegnamento
prima a Milano poi a Vasto. Ora mi dedico solamente alla pittura, privilegiando
l'acquerello. L'acquerello rende meglio la morbidezza delle masse cromatiche,
la scomposizione della luce.
In quali valori crede maggiormente?
Sincerità
e rettitudine a mio avvisi sono alla base di tutto.
Vasto è bellissima, offre scorci incredibili. La rivivo nella memoria nei più piccoli dettagli. Non trovo altrove le stesse vibrazioni.
In realtà Canci non ha niente del campanilista acceso, è un uomo dalla mentalità aperta e, direi, cosmopolita, ma nondimeno è un artista che dalla sua terra trae gli umori l'ispirazione più intensa che di essa ha assorbito il linguaggio impalpabile, aereo, marino, campestre, tradotto in spazilità, corpose o rarefatte, coinvolgenti. E a me, vastese, la sua pittura ripropone un mondo che mi è appartenuto e mi appartiene crea uno struggimento che sa di case e di vie, di mare, di cieli, di vita rurale; sinfonia che ci portiamo nell'animo e che resta la base del nostro personale itinerario interiore.
GABRIELLA
IZZI BENEDETTI
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