giovedì 10 dicembre 2020

Inizio '900: una scrittrice inglese a spasso per l'Abruzzo

 Nel volume "In the Abruzzi" (1908) le impressioni di Anne MacDonell, assieme a 12 preziosi acquerelli di Amy Atkinson.  

Una scrittrice inglese a spasso per l'Abruzzo

 di Gabriella Izzi Benedetti 

Sono invitanti, lungo le stazioni di servizio autostradale Roma-Pescara, quei piccoli libri di Adelmo Polla editore, sull'Abruzzo. Rimasta però delusa da un primo acquisto, ho lasciato passare del tempo prima del secondo, rivelatosi invece piuttosto interessante. E cosi mi sono ritrovata a guardare l'Abruzzo d'inizio secolo attraverso gli occhi di una scrittrice inglese, Anne Macdonell che, da buona inglese, amava l'Italia, e non solo quella dei grandi centri urbani e delle grandi arterie di comunicazione; effettivo interesse o moda che fosse, molti inglesi ci hanno tramandato giornali di viaggio preziosi per la conoscenza della nostra terra, anche se talvolta scontati per giudizi preconcetti, o incapacità di entrare in un'ottica molto differente dalla propria. C'è il pericolo quindi di stereotipi o di superficialismi dannosi per la nostra immagine. Fermo restando il valore di un'indagine che ha comunque contribuito ali' attenzione in Italia e fuori delle problematiche locali, di tutto un patrimonio storico artistico spesso sottovalutato e infine di caratteristiche psicologiche ed etnologiche della nostra terra.

Nel 1907, durante un suo soggiorno romano, Anne Macdonell, assieme alla pittrice Atkinson, fu presa dal desiderio di scoprire com'erano la natura e la vita in quelle montagne sorgenti ad est di Roma e nelle vallate susseguenti; partì in treno, proseguì in rambling.

Qualcosa di questa terra lei sapeva già attraverso gli scritti di Keppel Craven "Excursion in the Abruzzi"del 1837, di Henry Swinburne (1783-85), di Richard Colt-Hoare (1819) e di Edward Lear (1846).

Trovò una vita molto diversa da quella descritta dai suoi conterranei? Pare di no, pochi cambiamenti dovevano essere intervenuti sé ancora la Macdonell parla di attrezzi agricoli arcaici così come del sopravvivere di forme religiose in cui il paganesimo è presente in ritualità e mentalità. Era, la nostra terra, ancora troppo isolata dal contesto nazionale; teniamo presente però che l'indagine della scrittrice è volta ad un ceto sociale povero e penalizzato, spesso soggetto alla dolorosa necessità dell'emigrazione: contadini, pastori, piccolissimi proprietari. Questa gente semplice che è incuriosita da Anne probabilmente più di quanto sia lei incuriosita da loro, affascina la scrittrice: è gente di non molte parole, poco disposta alle confidenze, ancorata a tradizioni ben solide.

Come mai due signore viaggiano a piedi, dov'è la loro carrozza, dov'è il marito? Perché vanno in giro, a far che? L'unica risposta che sembra accettata come valida è quella del prender aria, poiché certamente qui l'aria è buona. Anne è affascinata dalla dignità, dalla fierezza di un popolo che sa essere nel contempo ospitale, senza invadere; gente con una civiltà intrinseca. In queste zone montuose, dice Anne, l'uomo è "molto orgoglioso perché si muove sempre in compagnia di grandi montagne", ma è anche amante di melodie ed ha una saggezza, una delicatezza di comportamento notevoli.

La sua ammirazione va alla natura, ma anche all'arte che, a prima vista quasi inesistente, è invece sparsa un po' dovunque, e non potrebbe essere altrimenti, commenta lei, l'Italia è terra d'arte dovunque. E per ragioni storico-artistiche, e per ragioni socio-economiche, la scrittrice sottolinea che questa terra meriterebbe un'attenzione molto maggiore da parte dello Stato, mentre invece è trascurata e la gente è costretta ad emigrare portandosi dietro nostalgie enormi, per cui molti tornano e poi vanno ancora e così i propri figli, in un flusso e riflusso dall’America alla propria terra.

Bella è la parte che tratta dei pastori e della loro versatilità poetica; ad Anne piace la loro organizzazione di vita dentro spazi, silenzi e migrazioni, con quei bellissimi e possenti cani al seguito, i pastori abruzzesi; ma soprattutto desta grande ammirazione in lei la donna abruzzese: "Non ho mai visto tante regine" scriverà. Se le donne abruzzesi emigrassero, dice, sarebbe finita per l'Abruzzo, perché esse

sono la linfa della sua vita; il loro ruolo è preminente nell'organizzare e consigliare, ma anche nel raccogliere in sé tutte le incombenze, anche le più gravose; "fisicamente è meglio sviluppata dell'uomo come è anche più bella... La donna riempie il quadro. Il lavoro in casa e l'allevamento dei figli rappresentano solo una parte della sua vita: raccoglie la legna per fare il fuoco d'inverno... cuoce il pane, fila la lana e il lino, tinge il tessuto e cuce i vestiti; si prende cura del gregge di casa e svolge la parte più pesante del muratore: è una straordinaria portatrice e con maestosa andatura trasporta tutto ciò che voglia sulla testa, da un pesantissimo bagaglio ad un aratro o a una lettiera di ferro...".

E certo, nel leggere, la nostra memoria va a quelle figure ormai lontane di donne con le conche in capo che procedevano altere, magari sferruzzando contemporaneamente.

Per me era una specie di miracolo; e qualcuno ricorderà anche le donne dei pescatori, talvolta parecchio anziane, attraversare agili le sottili assi di legno dei trabocchi, con delle ceste in testa. Non meraviglia quindi che la Macdonell pensi ad un'antica società matriarcale esistente in Abruzzo, il che non può essere escluso.

Queste ed altre note fanno riflettere, poiché non sbaglia la scrittrice nel ritenere che proprio dalla qualità etica e dalla forza morale della donna, l'uomo tragga in questa terra la sua capacità di concretezza e coesione familiare ed anche la spinta ad affrontare disagi e sacrifici in nome di una realtà che sente come nucleo della sua stessa esistenza.

Macdonell Anne: "In the Abruzzi", with twelve illustration after water-colour drawings by Amy Atkinson, 8, pp. IX-309, Chatto and Windus Publisher, London, 1908" - Traduz. di Ilio di lorio.

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