L'Abruzzo ha un notevole numero di opere fortificate e le ragioni sono riconducibili soprattutto al suo aspetto geografico e a ragioni storico-politiche.
L'aspetto geografico montuoso non ha favorito il formarsi di grossi agglomerati urbani, tenendo presente anche che in antichità le nostre coste, erano vittime delle invasioni barbariche.
La mancanza di città grandi, più sicure per quantità di uomini, strutture e difese, fece sì che nel momento assai complesso della dissoluzione dell'Impero romano d'occidente, cioè intorno al 476 d.C., il venir meno di un esercito regolare e quindi di una difesa centralizzata, lasciò la gente allo sbando e i piccoli e medi centri si salvarono dalla precarietà frantumandosi in una miriade di piccole roccheforti lontane dalle vie consolari e dai percorsi più noti, in zone interne, montuose, selvose, su pendii scoscesi, valichi, gole.
In una situazione di precaria vivibilità emerse drammaticamente l’urgenza di strutture fortificate: sorsero così le torri di avvistamento, i borghi fortificati, i castelli recinto, i castelli di tipo classico, con la torre centrale, il mastio, abitata dal feudatario, i capi militari e depositaria dell'armeria e del tesoro con cinte di mura concentriche, a volte una a volte più in cui viveva il resto della guarnigione e il popolo del contado in caso di pericolo. Si viveva un'economia a circuito chiuso, l'economia curtense (cioè all’interno della corte intesa come organismo economico e giuridico si compiva il ciclo di ogni attività e amministrativa sono la protezione di un capo unico ed in genere onnipotente); era un piccolo mondo concluso in se stesso.
I castelli di tipo più antico, cioè i castelli-recinto ebbero da noi una particolare connotazione che li rende unici nel loro genere, se si esclude qualche esemplare in Umbria; furono i cosiddetti castelli-recinto di pendio; sorgevano a media quota adatta per clima all'agricoltura, su pendio ripido antistante una vallata ampia e vicina al borgo che sorgeva indifeso ai piedi del castello, in cima al quale, un'altra torre perennemente guarnita di soldati controllava sia la vallata, sia, soprattutto, lo scoscendimento esterno non abitato, lanciando immediati allarmi in caso di pericolo. La gente allora correva a rifugiarsi nel castello assieme agli animali e poteva in esso resistere mesi, poiché il castello era anche il luogo dove in appositi silos, veniva ammassato il raccolto.
Introdacqua, San Pio ed altri sono esempi tipici del genere.
Questo o altro tipo di fortificazioni dettero quindi origine al fenomeno dell'incastellamento, poiché la parola stessa castello, di origine latina vuoi dire piccolo accampamento militare, derivante a sua volta da "castrum", accampamento militare di grandi proporzioni.
La seconda ragione che è all'origine del gran numero di fortificazioni in Abruzzo è, abbiamo detto, dì carattere storico-politico: per molti secoli la nostra regione è stata la zona limitrofa nord dei vari regni succedutisi nel mezzogiorno d'Italia; la sua situazione di terra di confine l'ha resa bisognosa di una ricca tessitura di difese più indispensabili quanto più accidentale era il terreno; valichi, gole, passi, boschi sono molto più difficili da controllare di una tranquilla pianura.
Furono i Normanni a creare intorno al mille, millecento, il confine che rimase pressoché invariato fino all'unità d'Italia, furono loro quindi ad includere territorialmente l’Abruzzo nelle sorti del mezzogiorno d'Italia.
Girare per la nostra terra significa rivivere un millennio di storia di fortificazioni, poiché quelle precedenti al VI secolo sono per lo più inglobate in costruzioni posteriori, quelle costruite dopo il XVI sec. hanno perduto le caratteristiche proprie della fortificazione fine a sé stessa, dato l'avvento e la diffusione della polvere da sparo che vanificò le strutture architettoniche nonché le strategie di difese ed attacco precedenti.
La polvere da sparo, scoperta alla fine del 1300, incominciò ad essere usata nel 1400, ma ebbe la sua più ampia diffusione nel 1500. Artiglierie portate ad un grado di evoluzione incredibile, piccoli cannoni facilmente trasportabili, grosse bombarde ecc., oltre alle già esistenti catapulte perfezionate al massimo, la guerra combattuta insomma da lontano e con armi di una potenza insostenibile anche per le rocche ed i bastioni più agguerriti, decretarono la decadenza e la fine del castello inteso come struttura
di difesa.
Divennero essi, con il tempo, luoghi residenziali di nobili o re, spesso furono modificato tanto da assumere l'aspetto di palazzotti signorili (un esempio è a Vasto il castello caldoresco, di origine angioina, ristrutturato nel '400 dai Caldora secondo i nuovi sistemi di difese; fu dotata di 66 bocche da fuoco, ora si affaccia su piazza Rossetti come palazzetto residenziale). Merli, beccatelli, cortine furono ridotti di proporzioni ed ebbero funzione solamente decorativa, le torri si arricchirono di torrette e preziosità.
Immaginiamoci ora per un momento in mezzo allo scenario delle meravigliose avventure medievali anche se è gran parte in rovina. Ma, con un po' d'imrnaginazione facciamo il giro della nostra terra e vediamo per esempio la gente che ad Introdacqua, San Pio, Musellaro, Tione, tanto per far qualche nome, al suono del corno, raduna frettolosamente gli animali e le cose indispensabili e si rifugia nel castello di pendio a portata... di fuga.
Immaginiamo le torri dì avvistamento poste in luoghi strategici, isolate e seminascoste, i cui pochi uomini di guarnigione sempre all'erta, all'apparire di presenze sospette, per mezzo del fumo di giorno e del fuoco di notte, segnalavano ad altre torri il pericolo; catene dì torri; era una teletrasmissione che diffondeva l'allarme, preparando le popolazioni alla salvaguardia del territorio.
A Celenza sul Trigno la torretta della Fara, a Casoli la torretta sul fiume Sangro, a Rapino, e poi la torre di Sutrium, unica nella sua tipologia a base triangolare... son tante a ricordarci l'intelligente prudenza dei nostri antenati.
Ma i castelli più belli, specie quelli costruiti da Federico II che fu seminatore di castelli, ma anche dai Colonna, Orsini, Piccolomini, Caldora, D'Avalos e altri li troviamo in gran parte nelle zone di montagna come quella marsicana.
A Salle, in provincia di Pescara, il famoso castello distrutto dai terremoti e ricostruito dalla munificenza del Barone Mario Genova di Salle che ha riportato alla luce una realtà di grande interesse storico.
Castelli li troviamo ad Ortona, Termoli (il Molise è una realtà a sé stante oggi più che ieri). Bellissimi sono a
Rocca Calascio, castello sito a 1450 m. sul mare, il più alto in quota di tutto l'Appennino centrale, a Roccaspinalveti, Navelli, all'Aquila, Palmoli, Barisciano, Capestrano, Lanciano, Celano (immaginiamolo Tommaso potente conte di Celano e del Molise nelle sue estenuanti lotte contro Federico II) Tocco Casauria, Roccascalegna meravigliosamente inserita nella straordinaria arditezza naturale, Loreto Aprutino che a sera sa di fiaba e leggenda, Vasto, Balsorano, Avezzano (semidistrutto), e, come direbbe Corrado, non finisce qui. Sono tanti, uno più affascinante dell'altro.
Crecchio ha un seguito di storia recente. Ospitò i Reali di Savoia ed il suo seguito nel Settembre del 1943, diretti a Brindisi. II Castello fu poi bombardato dagli alleati ed ora è stato totalmente ristrutturato, ma ha perso quel fascino che deriva dal sapore antico dell'autenticità originaria. Perché è questo che in sostanza, mi sembra, un po' tutti noi cerchiamo adesso forse più che mai; le nostre radici, la realtà tangibile della nostra storia. Cioè, mi sembra che, se da un Iato la rapidità delle scoperte scientifiche e del progresso tecnologico ci proietti in un futuro troppo differente dalla lenta evoluzione dei secoli passati, quasi a difesa sentiamo più forte il bisogno di riappropriarci del nostro passato e fonderlo con la realtà attuale. Una delle tante spie di questa esigenza è, per esempio, la propensione della migliore fantascienza a presentarci personaggi e strutture che pur nella loro stilizzazione ricordano ambientazioni, costumi e armature di antichi guerrieri e si avvalgono di nomi greci e latini.
Il passato è la storia di tutti noi ed i castelli sono un pezzo di quella storia; vengono a noi purificati dal tempo, con il loro fascino intatto e misterioso, con il loro aspetto emblematico di quanto di bene o di male, di tenero e crudele, misterioso e realistico è insito nell'essenza stessa del vivere.
Nella loro immagine ritroviamo i nostri sogni di adolescenti, il romanticismo dell'amor cortese, il gusto dell'avventura, della sfida, dell'eroico. E quindi in fondo, perdonatemi il paradosso, ognuno porta dentro di sé un castello ed ogni castello racchiude qualcosa di noi, del nostro eterno fluire fra realtà e sogno.
Gabriella IZZI BENEDETTI
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