sabato 28 novembre 2020

L'economia vastese di due secoli fa

Un territorio agricolo ricco di ogni ben di Dio per produzione di grano, olio, vino, aceto di qualità pregiate. Un commercio fiorente, via mare, di questi prodotti agricoli, in dire­zione Nord e Sud d'Italia. Un ottimo artigianato. Mal distribuita la ricchezza: pochi ric­chi e molti poveri costretti a sopportare il peso di tasse e balzelli vari. Soltanto qualche strada di difficile percorribilità sostituita da un buon traffico marittimo.

La realtà vastese di due secoli fa era enormemente diversa da quella attuale, cosa questa comune a tutt'Italia (e al mondo); ma, a differenza di alcune zone o città totalmente stravolte dagli eventi storico-economici, è possibile in Vasto rin­tracciare delle caratteristiche irrinunciabili che ancora oggi, in un tipo di società quasi opposta a quella

pas­sata, crea un pur tenue filo condut­tore e privilegia alcune scelte del vi­vere e del pensare. Nel bene e nel male.

Forse anche perché i nostri passag­gi sono stati lenti, fino a non molto tempo fa. e molti episodi della sto­ria ci sono giunti attutiti dalla posi­zione geografica, quando i collega­menti con il resto della penisola era­no nulli o difficili, frenati nell'azio­ne dalla nostra situazione politica che ci ha collocato a lungo come terra di confine, emarginata.

Emarginazione era infatti la man­canza di una rete stradale; due seco­li fa Vasto ne era priva.

 Per spostar­si nella capitale di allora, Napoli, ve­niva utilizzata una strada che passa­va per Campobasso, rotabile solo a tratti. Sterrata e sassosa d'estate, d'inverno diveniva un pantano, sog­getta a frane; impraticabile. Quattro giorni di viaggio da Vasto a Napoli, ad aver fortuna. Una strada alterna­tiva costeggiava il Trigno, si adden­trava per Isernia; tortuosa e disagia­ta più della precedente. Ambedue i tragitti erano inoltre inadatti al tra­sporto di merci, che aveva di conse­guenza un unico sbocco possibile, il mare.

Le merci oltre che sulla spiag­gia, erano caricate in zona Trave e a Casarza, E già allora si sentiva la necessità e si ventilava la possibilità di un porto. Era il Comune ad assi­curare i servizi di trasporto dall'entroterra al mare con grosse vetture, recipienti, facchinaggio. Vasto, in quel periodo, era divenuto assieme a Pescara il centro di maggior traffico marittimo della costa abruzzese, esportando cereali soprattutto a sud, e olio, aceto e vino a nord. L'olio va­stese era giudicato il migliore d'A­bruzzo.

 Storici quali L. Marchesani (Storia di Vasto), e P. Macry (Mer­cato e società nel regno di Napoli) as­seriscono che la produzione del gra­no nel vastese era enorme, rappre­sentando oltre la metà del flusso gra­nario dall'intero Abruzzo marittimo. Situazione prospera che rimase gros­so modo tale per tutta la durata del regno borbonico. Riguardo al 1830 circa il Marchesani riferisce "estraggonsi oggi da Vasto grani teneri e du­ri pareggiando que' di Barletta e di Puglia; orzo, avena, fave e grano­ne... olii i quali accostansi molto a quei di Barletta, ma presentemente la miscela con altri olii li altera; vini che in gran parte pe'l Distretto si dif­fondono; aceti che vanno a Comac­chio, Trieste, Venezia; doghe di cerro non lunghe e radici di liquirizia".

La mancanza di strade carrozzabili tiene tuttavia legato il traffico medi­terraneo" (op. cit., p. 135). Ma, co­me purtroppo spesso avviene, a pa­rità di crescita produttiva ed econo­mica, cresceva la speculazione, assu­mendo da piccoli episodi, dimensio­ni con risvolti sempre più dannosi per la popolazione.

Nell'opera citata da Macry si legge (pp. 104 e 338) come perfino il Marchese Carlo Michelangelo d'Avalos praticasse il contrabbando: nel 1714 il governo ne era a tacita cono­scenza.

Vasta eco provocarono alcuni pro­cessi e condanne a persone "rispet­tabili" quali il sacerdote Nicola Gallucci che si scopri speculare sulla fa­rina (come molti altri) mentre per speculazioni sull'olio furono condan­nati Filippo de Nardis, Giuseppe Barbarotti, Cesareo del Greco. Ma la maggiore speculazioni avveniva sul grano; possidenti e nobili del posto avevano creato una rete di commer­cio clandestino con grossi commer­cianti della capitale.


Dal Marchesani (op. cit. p. 186) ''Antico è l'uso d'incettarsi grani e olii a prezzo della voce: per lo più so­no negozianti di Napoli che ne dan­no l'incarico a' nostri concittadini, i quali proporzionano emolumento ne riscuotono, e talvolta si fanno soci dei commettitori. Egli è questo un si­stema di commercio che mentre as­sicura al colono lo smaltimento del­le derrate può far sorgere la carestia nel seno dell'abbondanza a furia di esorbitanti imbarchi".

Questa fu la conseguenza: un'agri­coltura fiorente, divenendo ricchez­za per pochi, non creava redditi da tradurre in migliorie per l'azienda contadina e per una maggiore pro­duttività; l'economia vastese ebbe tracolli fino a giungere a fasi di vera carestia.


Per risolvere la crisi e accrescere la produzione del grano nel 1764 il go­verno decise di mettere a coltura ce­realicola tutto il territorio possibile. Iniziò così un'opera di dissodamen­to che in circa 30 anni rese coltivabi­le quasi tutto il territorio vastese, con il disboscamento di Selvacupa, Cipranneto, Sellotto (rivendicato dai d'Avalos), terreni che il Marchesani (op. cit. p. 133) giudica "frattosi, sterili, incolti... al pubblico uso di le­gnare e pascolare servivano".

Tutto risolto? Macché. Nel 1806 Giuseppe Bonaparte emana una leg­ge che decide la privatizzazione del­le terre dissodate; sulla base dei di­ritti vantati la maggior parte del ter­reno sarebbe andata a baroni, ed gli enti pubblici. Ai non blasonati il ri­manente sarebbe stato ripartito me­diante sorteggio con preferenza ai non possidenti o piccoli proprietari; disposizione quest'ultima vanificata dall'ostilità di quei coloni ricchi che continuarono a reclamare la legitti­mità del possesso della terra fino a che non la spuntarono.

Di questa grande opera quindi si avvantaggiarono i già ricchi, mentre i coloni poveri divennero più pove­ri, e la gente più povera in generale non aveva nemmeno più il conforto di pascolo e legna che nella grande area del demanio pubblico veniva tollerato e invece perseguito dai pri­vati..." Il suolo è fertilissimo, la po­polazione è miserabile" scrive Galan­ti (Della descrizione geografica e po­litica delle Sicilie, p. 511).

Il Galanti imputa la miseria solamente alle cat­tive leggi, mentre il Marchesani è convinto che oltre a ciò esista nell'a­gricoltore vastese una certa pigrizia a non volersi rinnovare, a escludere nuove tecniche e mezzi di produzio­ne, ripetendo all'infinito pratiche an­tiche e superate. Se questo è vero, è vero anche che un enorme ostacolo all'usufrutto della floridezza econo­mica derivava dal monopolio del commercio. 

E, proprio il commercio divenne la realtà più importante della Vasto di fine '700; lentamente la no­stra cittadina cambiò fisionomia; ora dall'entroterra, dalle valli affluiva gente per prestare manodopera. "Oggi a vil tenendosi l'aratro e la zappa, assorbendo assai di braccia vastesi il commercio, il fuso, il te­laio... insufficienza il ceto degli agri­coltori si ritrovi; quindi necessita che scendano gli aiuti da altri paesi" Marchesani (op. cit. p. 181).

Il pro­sperare del commercio portò un no­tevole incremento dell'attività arti­gianale, soprattutto vetrai, fabbri, pellai, calzolai, sarti ecc...; e, dentro un arco che comprende nobili, pos­sidenti, professionisti, mercanti, ar­tigiani, troviamo gente ricca che vi­ve in maniera sempre più lussuosa, e gente benestante. Erano una picco­la minoranza però, poiché i due ter­zi della popolazione era formata da pescatori, piccoli coloni e braccianti sui quali gravava il maggior peso di questa società, poiché pedaggi, deci­me, balzelli eran proprio loro a pa­garli.

Non deve quindi meravigliare la feroce esplosione popolare che si eb­be a Vasto nel 1799 contro la Repub­blica giacobina. Di ideologia, come taluni vollero spiegare, ce n'era ben poca; viceversa c'era molta fame, ri­sentimento e speranza di giustizia.

La "barbara plebaglia" in realtà sperava nei borghesi contestatori; ma giustizia non venne, e, quando gli animi si furono placati i ricchi di qualunque tendenza politica rimase­ro a galla e i poveri rimasero poveri.

La Storia ha il vizio di ripetersi.

Vasto continuò il suo cammino at­traverso il tempo senza sostanziali modifiche, fino a quando il declino della società di tipo agricolo e l'imporsi dell'era industriale, post­industriale, terziaria, con tutti i ri­svolti positivi e negativi ad essa con­nessi, ha creato una frattura con il passato, ha in breve tempo modifi­cato sistemi sociali ed economici e i comportamenti modali ad essi rife­riti.

Ma inoltre in gran parte livellato mentalità ed esigenze. E Vasto ha fi­nito per integrarsi molto bene in que­sto nuovo circuito storico.

Oggi Vasto è soprattutto un cen­tro turistico-balneare, ha una discre­ta imprenditoria anche a livello na­zionale, è avvantaggiata per il com­mercio e altro da collegamenti rapi­di per mezzo di superstrade e auto­strade, non vive più prevalentemen­te di pesca e prodotti agricoli. Ma so­no essi in un certo senso alla base istintiva del nostro esistere; è una sommessa nostalgia contadina che ci portiamo nell'animo, sono la terra e il mare, non come fatto speculativo, ma come antica dimensione di so­pravvivenza e di poesia nei quali il vastese finirà un po' sempre per ri­conoscersi.

Gabriella Izzi Benedetti

pubblicato su VASTO DOMANI novembre 1990

foto Collezione Ida Candeloro

 

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