Un territorio agricolo ricco di ogni ben di Dio per produzione di grano, olio, vino, aceto di qualità pregiate. Un commercio fiorente, via mare, di questi prodotti agricoli, in direzione Nord e Sud d'Italia. Un ottimo artigianato. Mal distribuita la ricchezza: pochi ricchi e molti poveri costretti a sopportare il peso di tasse e balzelli vari. Soltanto qualche strada di difficile percorribilità sostituita da un buon traffico marittimo.
La realtà vastese di due secoli fa era enormemente diversa da quella attuale, cosa questa comune a tutt'Italia (e al mondo); ma, a differenza di alcune zone o città totalmente stravolte dagli eventi storico-economici, è possibile in Vasto rintracciare delle caratteristiche irrinunciabili che ancora oggi, in un tipo di società quasi opposta a quella
passata, crea un pur tenue filo conduttore e privilegia alcune scelte del vivere e del pensare. Nel bene e nel male.Forse anche perché i nostri
passaggi sono stati lenti, fino a non molto tempo fa. e molti episodi della
storia ci sono giunti attutiti dalla posizione geografica, quando i collegamenti
con il resto della penisola erano nulli o difficili, frenati nell'azione
dalla nostra situazione politica che ci ha collocato a lungo come terra di confine,
emarginata.
Emarginazione era infatti la
mancanza di una rete stradale; due secoli fa Vasto ne era priva.
Le merci oltre che sulla spiaggia, erano caricate in zona Trave e a Casarza, E già allora si sentiva la necessità e si ventilava la possibilità di un porto. Era il Comune ad assicurare i servizi di trasporto dall'entroterra al mare con grosse vetture, recipienti, facchinaggio. Vasto, in quel periodo, era divenuto assieme a Pescara il centro di maggior traffico marittimo della costa abruzzese, esportando cereali soprattutto a sud, e olio, aceto e vino a nord. L'olio vastese era giudicato il migliore d'Abruzzo.
La mancanza di strade carrozzabili tiene tuttavia legato il traffico mediterraneo" (op. cit., p. 135). Ma, come purtroppo spesso avviene, a parità di crescita produttiva ed economica, cresceva la speculazione, assumendo da piccoli episodi, dimensioni con risvolti sempre più dannosi per la popolazione.
Nell'opera citata da Macry si
legge (pp. 104 e 338) come perfino il Marchese Carlo Michelangelo d'Avalos
praticasse il contrabbando: nel 1714 il governo ne era a tacita conoscenza.
Vasta eco provocarono alcuni processi e condanne a persone "rispettabili" quali il sacerdote Nicola Gallucci che si scopri speculare sulla farina (come molti altri) mentre per speculazioni sull'olio furono condannati Filippo de Nardis, Giuseppe Barbarotti, Cesareo del Greco. Ma la maggiore speculazioni avveniva sul grano; possidenti e nobili del posto avevano creato una rete di commercio clandestino con grossi commercianti della capitale.
Dal Marchesani (op. cit. p.
186) ''Antico è l'uso d'incettarsi grani e olii a prezzo della voce: per lo più
sono negozianti di Napoli che ne danno l'incarico a' nostri concittadini, i
quali proporzionano emolumento ne riscuotono, e talvolta si fanno soci dei
commettitori. Egli è questo un sistema di commercio che mentre assicura al
colono lo smaltimento delle derrate può far sorgere la carestia nel seno
dell'abbondanza a furia di esorbitanti imbarchi".
Questa fu la conseguenza: un'agricoltura fiorente, divenendo ricchezza per pochi, non creava redditi da tradurre in migliorie per l'azienda contadina e per una maggiore produttività; l'economia vastese ebbe tracolli fino a giungere a fasi di vera carestia.
Per risolvere la crisi e accrescere la produzione del grano nel 1764 il governo decise di mettere a coltura cerealicola tutto il territorio possibile. Iniziò così un'opera di dissodamento che in circa 30 anni rese coltivabile quasi tutto il territorio vastese, con il disboscamento di Selvacupa, Cipranneto, Sellotto (rivendicato dai d'Avalos), terreni che il Marchesani (op. cit. p. 133) giudica "frattosi, sterili, incolti... al pubblico uso di legnare e pascolare servivano".
Tutto risolto? Macché. Nel 1806 Giuseppe Bonaparte emana una legge che decide la privatizzazione delle terre dissodate; sulla base dei diritti vantati la maggior parte del terreno sarebbe andata a baroni, ed gli enti pubblici. Ai non blasonati il rimanente sarebbe stato ripartito mediante sorteggio con preferenza ai non possidenti o piccoli proprietari; disposizione quest'ultima vanificata dall'ostilità di quei coloni ricchi che continuarono a reclamare la legittimità del possesso della terra fino a che non la spuntarono.
Di questa grande opera quindi si avvantaggiarono i già ricchi, mentre i coloni poveri divennero più poveri, e la gente più povera in generale non aveva nemmeno più il conforto di pascolo e legna che nella grande area del demanio pubblico veniva tollerato e invece perseguito dai privati..." Il suolo è fertilissimo, la popolazione è miserabile" scrive Galanti (Della descrizione geografica e politica delle Sicilie, p. 511).
Il Galanti imputa la miseria solamente alle cattive leggi, mentre il Marchesani è convinto che oltre a ciò esista nell'agricoltore vastese una certa pigrizia a non volersi rinnovare, a escludere nuove tecniche e mezzi di produzione, ripetendo all'infinito pratiche antiche e superate. Se questo è vero, è vero anche che un enorme ostacolo all'usufrutto della floridezza economica derivava dal monopolio del commercio.
E, proprio il commercio divenne
la realtà più importante della Vasto di fine '700; lentamente la nostra
cittadina cambiò fisionomia; ora dall'entroterra, dalle valli affluiva gente
per prestare manodopera. "Oggi a vil tenendosi l'aratro e la zappa,
assorbendo assai di braccia vastesi il commercio, il fuso, il telaio...
insufficienza il ceto degli agricoltori si ritrovi; quindi necessita che scendano
gli aiuti da altri paesi" Marchesani (op. cit. p. 181).
Il prosperare del commercio portò un notevole incremento dell'attività artigianale, soprattutto vetrai, fabbri, pellai, calzolai, sarti ecc...; e, dentro un arco che comprende nobili, possidenti, professionisti, mercanti, artigiani, troviamo gente ricca che vive in maniera sempre più lussuosa, e gente benestante. Erano una piccola minoranza però, poiché i due terzi della popolazione era formata da pescatori, piccoli coloni e braccianti sui quali gravava il maggior peso di questa società, poiché pedaggi, decime, balzelli eran proprio loro a pagarli.
Non deve quindi meravigliare la feroce esplosione popolare che si ebbe a Vasto nel 1799 contro la Repubblica giacobina. Di ideologia, come taluni vollero spiegare, ce n'era ben poca; viceversa c'era molta fame, risentimento e speranza di giustizia.
La "barbara
plebaglia" in realtà sperava nei borghesi contestatori; ma giustizia non
venne, e, quando gli animi si furono placati i ricchi di qualunque tendenza
politica rimasero a galla e i poveri rimasero poveri.
La Storia ha il vizio di
ripetersi.
Vasto continuò il suo cammino
attraverso il tempo senza sostanziali modifiche, fino a quando il declino
della società di tipo agricolo e l'imporsi dell'era industriale, postindustriale,
terziaria, con tutti i risvolti positivi e negativi ad essa connessi, ha
creato una frattura con il passato, ha in breve tempo modificato sistemi
sociali ed economici e i comportamenti modali ad essi riferiti.
Ma inoltre in gran parte
livellato mentalità ed esigenze. E Vasto ha finito per integrarsi molto bene
in questo nuovo circuito storico.
Oggi Vasto è soprattutto un
centro turistico-balneare, ha una discreta imprenditoria anche a livello nazionale,
è avvantaggiata per il commercio e altro da collegamenti rapidi per mezzo di
superstrade e autostrade, non vive più prevalentemente di pesca e prodotti
agricoli. Ma sono essi in un certo senso alla base istintiva del nostro
esistere; è una sommessa nostalgia contadina che ci portiamo nell'animo, sono
la terra e il mare, non come fatto speculativo, ma come antica dimensione di sopravvivenza
e di poesia nei quali il vastese finirà un po' sempre per riconoscersi.
Gabriella Izzi Benedetti
pubblicato su VASTO DOMANI novembre 1990
foto Collezione Ida Candeloro
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