lunedì 26 ottobre 2020

Il brigantaggio in Abruzzo nel XVI secolo

di Renata d’Ardes

Da Vasto Domani settembre 2002

Nel periodo napoleonico in Italia vengono introdot­te misure amministrative e poliziesche per affronta­re le conseguenze sociali dei mutamenti economici e istituzionali. E' signifi­cativo, per fare un esem­pio, che dopo l'occupazione francese il termine "brigantaggio" cominci ad es­sere impiegato per allude­re alle forme di "resisten­ze e disturbo collettivo". Più in generale, la forma­zione della società borghe­se comporta un graduale incremento delle funzioni e dell'azione di polizia nel­le città, che vivono una sorta di sindrome dell'ac­cerchiamento da parte di uomini e donne delle cam­pagne.


Negli Abruzzi co­me è avvenuto nel meri­dione d'Italia, il brigan­taggio, inteso come "ban­ditismo" o "fuoruscitismo", si è manifestato in due fasi storicamente distinte: nel XVI sec. come espres­sione antispagnola e nel XIX sec. come azione fi­loborbonica.



All'epoca del­la dominazione spagnola alcune città dell’Abruzzo “Citeriore" come Sulmona, Atessa, Guardiagrele, ed altre come Teramo, Penne, Campli, e Città S.Angelo dell’Abruzzo “Ulteriore" furono visitate da Giovan­na, figlia di Ferdinando che volle rendersi conto della consisten­za delle sue terre.

Gli Abruzzesi questa visita non fu gradita e i briganti rea­girono con quel­lo che chiama­rono un "attac­co in massa alla ricchezza priva­ta" in cui si distinse Marco Sciarra, brigan­te per antono­masia, chiamato il "re delle cam­pagne".

Ancora oggi in Abruzzo dire brigante signifi­ca dire Marco Sciarra, incon­trastato capofi­la delle colorite reminiscenze del brigantaggio abruzzese.

Una cosa è cer­ta: Marco Sciarra operò durante la dominazione spagnola verso la fine del XVI secolo alla testa di un esercito di briganti il cui numero raggiunse le 800 unità nella zona dì Civitella del Tronto. Marco Sciarra e i suoi compagni si sentivano al sicuro negli oscuri anfrat­ti delle grotte, in quanto a nessuno veniva in mente di avventurarsi in quegli impervi cunicoli. Uno strano modo di agire quello del "re della cam­pagna" che poco tempo do­po farà uccidere a colpi di archibugio, a Lucera, il Vescovo Scipione Capece Bozzuto, mentre una tur­ba di popolo infuriato al grido di "Viva Marco no­stro re !w metteva il paese a ferro e fuoco. Il brigante durante la sua avventurosa esistenza non ha fatto altro che alternare atti di delinquenza ad espressioni di sconcertante generosità.

Le continue scorribande del brigante Sciarra preoccuparono parecchio le autorità di allora che arrivarono alla decisione di offrire una fortissima somma come taglia a chi avrebbe preso "vivo o morto" il "re della campagna".

Il piano di battaglia di questo brigante, da tutti ricercato, fu quello di tene­re continuamente in movi­mento il nemico stancan­dolo con attacchi, aggua­ti, sorprese, secondo una particolare tattica che da­va sempre i suoi frutti.

Nel 1594 o 1596, Sciarra decise di tornarsene nelle sue terre con l'intenzione di riorganizzare una ban­da potente e numerosa co­me quella di un tempo.

Durante il viaggio di ri­torno verso la sua regione portò con sé alcuni "fedelissimi", ma uno di loro, tale Battistello, evidente­mente non era degno di fiducia del brigante e, di notte, mentre tutti dormi­vano in una forra nella campagna marchigiana, uccise il "re della campa­gna" colpendolo con una coltellata alla gola.

Il brigantaggio abruzzese, represso in certo qual mo­do fino al 1860, esplose di nuovo, violentemente, dal '61 quando, approfittando del momento politico, al­tre numerose bande si re­sero celebri nello sfogare barbaramente antiche e nuove vendette con la loro smodata avidità di ric­chezze.

Nel delineare le cause del brigantaggio in Abruzzo, gli storici di ogni tenden­za hanno indicato la ra­pida decadenza della pa­storizia transumante, re­sa più grave da alcune leggi emanate dal Gover­no postunitario. L'attività della pastorizia in Abruzzo vedeva impe­gnati tanti tipi di lavora­tori : i pastori, i casari, i garzoni detti "bardotti", i cavallari, i vaccari, tutti "addetti ai lavori" che con la crisi della pastorizia sentirono l'amarezza e la difficoltà della disoccupa­zione.

I briganti abruzzesi co­stituiscono dunque tante "tessere" di un "mosaico" vario e colorito, spesso cruento e sanguinoso, con punte non rare di atti di generosità e di altruismo. Nasce così quella che può essere definita la "crona­ca nera d'altri tempi" con una delineazione di quelli che hanno dato vita al brigantaggio in Abruzzo o meglio negli Abruzzi.


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