della vita del Vate
di Gabriella Izzi Benedetti
D’Annunzio rimane, anche per i detrattori, una delle maggiori figure, e più singolari, a cavallo fra ‘800 e ‘900, interpretando nel bene e nel male le aspirazioni della sua generazione; con opere che hanno caratterizzato un intero periodo letterario, influenzando anche letterature d’oltralpe.
Non è un caso che sia amato all’estero più che in patria: in Spagna e Inghilterra, e specie in Francia dove è giudicato tra i pochi letterati italiani capaci di superare il provincialismo che spesso ci contraddistingue.
Ma qui non vogliamo fare critica letteraria, piuttosto mettere l’accento su alcuni aspetti meno noti della vita del poeta, in grado di palesare il variegato tessuto del suo temperamento.Visto in “pantofole” l’immaginifico pare legato più solidamente a valori e schemi tradizionali di come si potrebbe supporre; con un corredo di piccole debolezze. Quella, ad esempio, di essere superstizioso. Nato il 12 marzo 1863 volle sempre festeggiare il 13 perché porta bene; si circondava di amuleti e talismani, uno dei quali un corno di corallo. Lo portava sempre in tasca per neutralizzare eventuali detrattori. Era così nota la sua debolezza fra gli amici, che l’ortopedico pescarese Ciro Mastrangelo ad ogni compleanno, dovunque si trovasse l’amico, gli faceva pervenire talismani come stelle marine, pesci cornuti, giudicati dai marinai degli “scacciamalocchio”. Un giorno il Mastrangelo trovò per strada un ferro di cavallo; lo fece nichelare, lo unì ad un allusivo oggetto d’argento, ad una sapida poesia in dialetto e spedì il tutto in Francia dove D’Annunzio risiedeva da circa due anni. Nel 1910 D’Annunzio era stato costretto a riparare in Francia in quanto prodigalità e mania di grandezza lo avevano indebitato al punto che gli furono sequestrati e venduti tutti gli arredi dell’amata e sontuosa villa fiorentina, La Capponcina. In Francia trovò accoglienze molto lusinghiere, ma la creatività si era come bloccata. La vista degli amuleti inviati dall’amico furono come una sferzata di vitalità e, preso da gran buonumore su due piedi scrisse un’ancor più piccante poesia in dialetto, con dedica “a lu care cullegheCiriucceMastrangele, don Gabriele da ‘sta Franze, lumese de marze 1912”.La poesia è conservata presso i discendenti del Mastrangelo.
Il periodo francese lo vede in compagnia del “fido maggiordomo”, Rocco, personaggio riservato e devotissimo che seguì il poeta instancabile per un quarto di secolo. In Francia continuava a far vita brillante, preoccupando non poco il fido Rocco che lo incitava a portare a termine il San Sebastiano, opera teatrale scritta tutta in francese. Finalmente l’opera andò in scena presso le Teathre de Saint-Martin e fu un successo. La critica di tutta Europa fu unanime nel giudicarlo un capolavoro. E questo recupero d’immagine lo riportò di buonumore. Ma le finanze continuavano a scarseggiare. Un giorno fu attratto da una vetrina stupendamente composta, con profumi, anfore e vasetti di estrema raffinatezza. Disse allora a Rocco: “Ve’ Ro’, dumanearvinghe a Parigi e mi compre mezza vetrina” “Bum” fece scettico, Rocco “e li solde chi ve li dà?”. Il giorno seguente D’Annunzio, elegantissimo, cilindro, stiffelius, fiore bianco all’occhiello e l’immancabile caramella, parlando il suo impeccabile francese, scelse profumi finissimi a profusione; una cifra da capogiro. Giunto alla cassa diede semplicemente il suo biglietto da visita: “Poeta Gabriele D’Annunzio, membro dell’Accademia degli artisti e degli scienziati di Francia”. Salutò e salì in carrozza. Dopo nemmeno due minuti il bravo Rocco tutto stralunato lo raggiungeva carico di pacchi e pacchettini. Passò un mese. La ditta scrisse a D’Annunzio: “Con la speranza che i profumi siano stati di vostro gradimento, onde aver l’onore di poter apportare in vetrina la dicitura “Fornitore del poeta Gabriele D’Annunzio”. Il poeta rispose con una lettera elogiativa che rimase esposta per anni in vetrina.
Coesisteva in lui la capacità di essere alla mano, restando carismatico. E’ come se vivesse con il continuo gusto del divertissement fine a se stesso. E’ difficile a volte definire in lui i confini fra l’autentico e il costruito. A volte l’autentico risulta evidente, come la passione per il mare, specie per l’Adriatico e per il suo fiume, il Pescara. In mare passava specie da giovanissimo tutto il tempo possibile. La sua passione per le donne è arcinota e queste due passioni si fondevano. Sul finire dell’800 le nostre nonne o bisnonne più audaci iniziarono ad apparire sulle spiagge con i caratteristici costumi, castigatissimi, a righe bianche e blu. Chi osava tanto era certo giovane. D’Annunzio si organizzò subito. Assieme ad un amico, Domenico Valore, guardiano di battelli, percorreva il mare da Pescara fino alle più lontane coste marchigiane su di una lancia bianca, con una vela raffigurante un grifone giallo-oro. Rasentando le coste, con un grosso binocolo ispezionava il campionario femminile e, se giudicava ne valesse la pena, si faceva portare a terra, facendo, si dice, vere stragi di cuori. E pare che anche Domenico ne traesse profitto. Non mancano aneddoti su di lui bambino, molto coccolato dalla madre, vestito come un principino, che finiva per snobbaredurante il passeggio i suoi compagni di gioco. Quei compagni che in seguito rimpiangeva tanto, una volta trasferitosi presso il Liceo Cicognini di Prato. Ad essi scriveva quotidianamente lettere piene di nostalgia.
E, per non fargli torto, bisogna mettere l’accento sulla sua generosità; se incontrava un povero non lesinava aiuti importanti, anche 1000 lire, una cifra astronomica a quel tempo. Si racconta che, dopo aver penato a lungo per essere pagato dall’editore Treves, ottenute finalmente le 3000 lire che gli spettavano, chiamò una carrozza. Prese a parlare col vetturino, cosa normale per lui ch’era aperto al dialogo. Si accorse che l’uomo era pieno di guai; s’immedesimò talmente che, una volta sceso, tirò fuori le 3000 lire e le diede per intero allo stupefatto vetturino. Dunque una personalità contraddittoria egoista e ampollosa, ambigua e nel contempo coraggiosa, generosa, fantasiosa. E non è da sottovalutare quell’angolino nascosto della sua personalità, “ruspante” bonario, divertito probabilmente dalla serietà con la quale il mondo e i critici vivevano le sue geniali bizzarrie e cercavano di imitarle.
Gabriella Izzi Benedetti
Nessun commento:
Posta un commento