Vasto: il castello caldoresco e il grattacielo di via San Michele degli anni '60 |
L'Italia è, per definizione, il bel Paese. Ma se la definizione affonda lontana nel tempo, certamente "bel paese" la nostra terra è divenuta un po' per volta, grazie alla tendenza, tipicamente italica, del gusto e della misura. Misura classica, certo, ma anche senso del fantastico all'interno di una sensibilizzazione della dimensione ambientale.
Circolando per l'Italia si ha il metro della civiltà intrinseca alla nostra gente che, pur non partendo da regie e composizioni scenografiche d'insieme, ha seguito volta per volta indicazioni e criteri e suggerimenti dalla spazialità naturale, dalla densità dei colori, dalla struttura geologica, non ultimo da sollecitazioni climatiche e olfattive perfino.
Questa sensibilità comune, se pur non imposta né codificata, ha portato ciascuno nel proprio settore a capacità realizzative di grande armonia, di finezza, di equilibrio, di competenza.
Dallo scalpellino al fabbro all'architetto al muratore all'ingegnere all'orafo, per fare qualche esempio, ognuno ha lavorato con senso di professionalità e al momento giusto, interdisciplinarità. E non solo nelle grandi costruzioni e iconografie cittadine, ma nel dipanarsi delle realizzazioni spicciole, nei borghi, nelle pievi, nella oggettistica mistica o familiare che fosse. Se si guarda poi ai grandi disegni strutturali il discorso si intensifica e perfeziona.Il risultato è un intervallarsi artistico di costruzioni e zone alberate, di nuclei abitativi e zone campestri, l'occhieggiare di giardini dentro le grandi masse cittadine, l'equilibrio delle dimensioni e delle forme.
Ultimamente questa misura, il rispetto ambientale, l'esigenza di fusione tra funzionale ed estetico sembrano spesso sacrificati al grande mostro del profitto che ingoia quanto possa contrastarlo. Una piovra che si espande compattando malinconicamente nuclei cittadini e ridenti realtà rurali.
Capita quindi che la qualità, gli spazi, il rapporto uomo natura vengano schiacciati e annullati. L'economia domina, il business è il padrone assoluto, la reclamizzazione di realtà spesso scadenti, vomitata in continuazione dai media, crea assuefazioni collettive.
Ben vengano, dunque, quegli ambientalisti, quegli architetti, quegli ingegneri che con le loro realizzazioni continuano una tradizione d'inserimento dell'opera umana nel contesto naturale, in un unicum dove l'una respira dell'altro e, dagli spazi euritmici con le masse, si verifichi la validità dell’evoluzione delle norme architettoniche. Poiché sarebbe ottusa ripetitività ricalcare l'antico. È la storia dell'uomo con il suo insieme di tecniche innovative, di esigenze, d’invenzioni che crea la base da cui nuove regole del vivere s’intersecano con le antiche. E la crescita avviene quando le innovazioni si pongono non come sopraffazione, ma come conoscenza basilare per assorbire e riproporre soluzioni di qualità. E’ questa la grande scommessa storicistica di tutti i tempi, ma del nostro in particolare che viaggia ad una velocità progettuale e propositiva mai esistita. La proie¬zione verso un futuro praticamente già superato prima di essere assimilato ha bisogno di tecnici solidi ma di ampio respiro culturale.
A questa categoria appartiene l'ing. Luciano Tosone che non a caso è anche straordinario pittore.
Un professionista lontano sia da rivisitazioni fasulle sia da avvenirismi arroganti. Luciano Tosone ha realizzato molte opere soprattutto nel vastese, la zona dell'Abruzzo dove vive. Ha spesso stupito per ardimenti strutturali rivelatisi funzionali, possiede sensibilità ambientale ed ogni suo progetto è contraddistinto da riferimenti, agganci culturali al di là di personalizzazioni del tutto originali. Dalla natura assorbe dimensioni, strategie e colori. La ristrutturazione da lui operata su di un vecchio, fatiscente immobile, contestata da alcuni, ma apprezzata dai più, soprattutto dagli addetti ai lavori, ci dà lo spunto per ascoltarne motivazioni e per approfondire il problema di fondo, cioè come far fronte oggi alle inderogabili esigenze di una società fondata su famiglie mononucleiche, che si espande in fretta spazialmente, che ha tempi e ritmi veloci, la cui sopravvivenza è legata ad una serie disservizi in senso sociale e familiare.
In questo contesto è indispensabile l'equilibrio fra centro cittadino e periferia, coniugando. vecchio nuovo.
L'ing. Tosone ci spiega innanzi tutto il concetto dì ristrutturazione; a prescindere dalle costruzioni di valore storico-artistico, la ristrutturazione di un qualsiasi immobile non deve divenire un ricalco quasi museale, ma adottare sistemi di sicurezza, di vivibilità in armonia con le esigenze del nostro tempo. Se necessario, è giusto, anche su vecchie costruzioni, l'uso del cemento armato; ci spiega l'importanza di restituire agli edifici la leggerezza di colori ridenti, poiché spesso vecchie costruzioni portano con sé "esteriorità melensa e melanconica quale testimonianza di una mentalità non tanto onorevole ; mentalità tale in quanto compresa tra uno smarrito senso di purissima essenzialità agreste ed un immaturo metropolitano atteggiamento". Il Tosone non vuole sovvertire lo stile di un immobile, né porlo in antitesi con il contesto; ma attraverso una rigorosa analisi delle caratteristiche intrinseche, operare un razionale uso degli spazi, creare comfort.
Oggi non si può vivere senza riscaldamenti, ascensori, elettrodomestici, servizi vari. Queste nuove esigenze creano soluzioni e schemi nuovi. Una sua preoccupazione è data dalle norme che regolano le planimetrie cittadine e tutto l'insieme dell'habitat cittadino e agreste: "norme vigenti che sono dei giuridici garbugli più che artistiche emanazioni Tali in quanto case, vie, alberi, distese di terra coltivata o brulla, pareti rocciose visi trovano intesi soltanto come delle distinte proprietà da tutelare nello stretto ambito dei rispettivi legali diritti e non, invece, come elementi di una sconfinata composizione. Composizione da modellare plasticamente'secondo simbiotici ed armoniosi accordi funzionali, scultorei e pittorici".
L'idea della composizione è di particolare fascino ed è una delle risposte al quesito centro-periferia. Non l'affastellarsi di costruzioni, ma il comporre il tutto attraverso una progettualità che immagini l'insieme in forma artisticamente risolta, poiché il senso del bello, il godere delle gioiosità naturali, se alternate e disposte con criterio, nulla tolgono alla praticità, alla razionalità; anzi, si verrebbe ad ottenere una individuazione logistica più agile, oltre al potenziarsi di, ultimamente neglette, identità. E si potrebbe anche risolvere la continuità stilistica tra centro e periferia, pur con tutte le differenze immaginabili.
Assodata dunque l'importanza di periferie rispondenti a canoni di vivibilità qualitativa, nasce l'esigenza di una "improrogabile soluzione del contrasto micidiale fra centro e periferia cittadina considerato che esiste una concorrenza spietata fra questi due poli per cui si muore da una parte e troppo adiposamente si vive dall’altra; la periferia assai più del centro offre vantaggi di superlativa convenienza" poiché in essa c'è "minore rete di rapporti burocratici, maggiore facilità di reperimento e parcheggio, più volume edificabile ed a più basso costo".
Il Tosone passa poi a parlare di quel triste incantesimo che gli pare graviti sui centri cittadini "di più sprovveduta conduzione e li trascina verso un 'agonia sempre meno reversibile, tra polvere, abbandono, desolazione ".
Non è possibile dargli torto guardando spesso nel cuore storico delle città aree abbandonate, balconi scoloriti e sconnessi, vetri rotti, soffitti sventrati. Un degrado che intristisce. L'augurio è una inversione di tendenza. In qualche città avviene, vedi Firenze. Ma perché questo avvenga si torna al discorso dell'importanza di un recupero che aggiunga funzionalità agli antichi abitati attraverso nuove logiche.
Dice il Tosone "continuamente mutevole è l'intero universo e corrispondentemente diversi devono essere i nostri comportamenti secondo una fatale necessità di adattamento per una vita sempre più lunga e migliore. Così sono stati sostituiti, nelle sale operatorie, il bisturi del chirurgo alle forbici del cerusico; nelle strade l’automezzo al carretto, nel mare il transatlantico al veliero ".
Fra ciò che va migliorato c'è la luminosità degli ambienti, ma anche l'alleggerimento dei troppi bruni che il tempo, posando sugli esterni delle case, ha quasi decretato come il colore reale delle città. Le antiche città europee, le nostre bellissime città italiane, si portano dietro il fascino di questi strati di tempo accumulato sui nostri edifici; una patina in sintonia con il gusto della storia, con il fruire dei secoli, con quel romantico riassorbire il tempo.
In realtà , per il Tosone le abitazioni, le chiese, i palazzi, sono nati con un concetto di colore che poi il tempo ha appannato. Non si abbia paura di scegliere colori vivi o pastello; "rosso è il palazzo reale, eredità dei Borboni, nel pieno centro di Napoli; intensamente variopinto, senza esclusione del verde e del rosso, è il rivestimento del campanile di Giotto a Firenze".
Il suo concetto è autorevolmente supportato da un articolo scritto su "L'Unità" il 20/9/99, dall'ex ministro Antonio Paolucci, soprintendente ai beni artistici di Firenze. a proposito della diatriba sorta a causa del recente restauro della Basilica di S. Pietro in Roma; ripristino che ha restituito cromatismi nascosti dalla patina del tempo . Scrive il Paolucci “Ora la basilica senza nulla perdere della sua monumentalità, sembra più nitida, più aerea, più leggera. Si ha l'impressione che dialoghi meglio con il sole, con il cielo, con le nuvole di Roma. Il fatto è che la città antica (Roma, ma anche Firenze, persino Milano che è tutto dire) era colorata. Il rosa, il rosso, il giallo, l'azzurro slavato (color aria, si chiamava) si alternavano, sulle facciate dei palazzi e delle ; chiese, allietavano gli occhi e scaldavano il cuore. La città colorata era un regalo per tutti anche, perché, una volta, il colore era raro e costoso. Solo le case e i vestiti dei ricchi erano pieni di colori. Mentre splendevano di oro e di colori le chiese che erano (e sono) le case di tutti, ricchi e poveri".
In realtà noi siamo eredi soprattutto del severo gusto architettonico ottocentesco. Cambiare mentalità e psicologia non sempre è facile. Ma potrebbe essere una meta, abituarsi ad una dimensione più "colorata" del nostro mondo abitativo. Ci darebbe sicuramente più gusto del vivere, costruire tenendo conto del rapporto luce-colore-vita. Partendo dalla mentalità della gioia del colore, molte rattristanti anonimità potranno essere superate.
Gabrìella Izzi Benedetti
Nessun commento:
Posta un commento